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La storia di “Peppin lu panattir”

Quando il pane riempiva la pancia

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Giuseppe Raspa classe 1932 era un uomo dal carattere molto forte in quanto forgiato dal lavoro duro prima della campagna e dopo del forno. Nelle difficoltà è riuscito a guardare sempre oltre e a essere innovativo: fu il primo panettiere che portò a San Salvo i maritozzi, i panini all’olio e il pane integrale.

Fino a trent’anni ha lavorato in campagna e ha sperimentato sulla sua pelle quanto era pesante la zappa.

Il 22 novembre del 1962 (ormai divenuto marito e papà di Michele) avviene una grande svolta: “Peppin“ insieme alla moglie Giuseppina, alla sorella Rosina e al cognato Pierino, prese in gestione (per 20 mila lire al mese quando il pane costava 100 lire al chilo) la panetteria di Nicola Artese in una traversa di corso Garibaldi.

“Zio Nicola” divenne il loro “mastro” nell’arte della panificazione fino all’1 gennaio del 1963.

Accadde, che per tre giorni nel paese, mancò la corrente elettrica e furono costretti a impastare il pane a mano:  produssero il pane per “quasi tutti i sansalvesi”. 

In poco tempo la panetteria raddoppiò la produzione e zio Nicola voleva raddoppiare l’affitto. Così Giuseppe decise di lasciare la gestione di quel forno alla sorella Rosina e aprirne uno tutto suo in via Venezia.

Era pratica in quel periodo utilizzare il cosiddetto “libretto” una sorta di bloch notes dove si annotava quanto dovuto ogni giorno da un cliente. Il conto veniva saldato dai clienti una volta all’anno. I crediti del forno rimasero a Rosina.

All’epoca via Venezia era una zona di campagna esterna al centro storico! Man mano vi arrivavano famiglie giovani. La vita delle famiglie era all’aperto: i genitori in campagna, gli anziani facevano comunella davanti alle case e vegliavano i nipoti che giocavano nelle strade a pallone, al "vedo", a "l’uno manda l’uno". Si faceva un grande uso di pane, perchè costava poco e riempiva la pancia.

Il primo cliente della panetteria fu Vito Bevilacqua. All’inizio i clienti scarseggiavano e Giuseppe decise di acquistare un'ape (per l’epoca era come un furgone di oggi), per poter andare a vendere il pane porta a porta e nei negozi dei paesi del circondario.

Per crescere professionalmente Giuseppe ingaggiò un mastro fornaio di Lanciano (zio Umberto), che gli insegnò a fare i maritozzi e i panini all’olio.

Con l’avvento della Denso e della Siv cominciò a produrre il pane anche in piccole pezzature da un chilo e da mezzo chilo, prima si vendevano solo pagnotte da 2 chili.

Intorno agli anni '80, entrò in negozio una signora a cui uno specialista aveva prescritto cibi integrali e da lì incominciò a incrementare la sua gamma di prodotti offrendo anche il pane integrale. Negli anni '70 furono i primi che proponevano il pane casareccio fatto con il grano duro "la faren di cappell".

Prima di cominciare a costruire la Denso, edificarono una mensa per gli operai addetti a questa costruzione. Giuseppe riforniva il pane di questa mensa che accoglieva tantissimi operai. Un solo cuoco riusciva a gestire una mensa che oggigiorno ne avrebbe richiesti almeno tre. Giuseppe diceva che questo cuoco era davvero una freccia.

In generale vigeva un rapporto con la concorrenza fatto di rispetto personale, lealtà e affetto. 

Giuseppe è stato per tanti anni sindacalista dei fornai e ha lottato a Chieti per far aumentare il prezzo del pane, che una volta erano “calmierato” dal Cipe. Un'altra conquista sindacale è stata la domenica libera.

Nel 1958 e nel 1959 fu anche consigliere dell’opposizione. Ebbe la possibilità di entrare a lavorare alla Siv, ma lui preferiva il lavoro del forno (anche se più faticoso), in quanto poteva gestire i suoi tempi. Diceva sempre: "il lavoro del fornaio è duro, ma quello del contadino lo è molto di più".

Peppino, scrisse un libretto dove registrò tutti i suoi ricordi, la storia della sua famiglia, arrivata a San Salvo nel 1879, "l'anno in cui diventammo cittadini sansalvesi", per lasciare alla nipote il ricordo di un nonno che fu innovatore nella sua arte.

Nel 1995 la panetteria si è trasferita nella sede di via Sandro Pertini, dove tuttora il figlio Michele tramanda rinnova i saperi del padre.

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