'Disastri idrogeologici': il Vastese è a rischio?

L'intervista al geologo Giuseppe Rossi

Danilo Di Laudo
24/11/2014
Attualità
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Nell’ultimo periodo la situazione climatica italiana sta attirando sempre più l’interesse della popolazione. Inutile ripetere quanto accaduto in Liguria o più in generale nel nord Italia negli ultimi mesi per immaginare quanto la situazione idrogeologica italiana sia complessa. A tal proposito ci siamo chiesti cosa potrebbe accadere se eventi di tale portata arrivassero sulla zona del Trigno-Sinello. Per portare avanti questa indagine ci siamo rivolti al geologo Giuseppe Rossi, titolare del GeoLab di Vasto.

L’intervista

Facendo i conti con la perturbazione che sta ‘flagellando’ il genovese e il Nord Italia, se una situazione del genere colpisse le nostre zone, quali rischi potrebbe correre il territorio?
Dunque, in quel caso specifico la geomorfologia del territorio, con i monti al ridosso del mare, le probabilità di catastrofi naturali di tipo idrogeologico aumentano in modo evidente visto che l’acqua viene prima accumulata sui monti e solo dopo scivola a valle con pericolosa intensità. Come saprai esiste anche il terrazzamento che, come una medaglia, ha due facce. Infatti, quest’opera di ingegneria naturalistica, dovrebbe frenare la discesa dell’acqua da un lato ma, dall’altro, comportando il disboscamento, non presenta più il freno naturale creato dalle radici degli alberi.
Passando invece alla situazione nelle nostre zone dovremmo partire dal presupposto che una pioggia di tale entità e che si scarica in così poco tempo creerebbe non pochi danni. Il corso d’acqua a noi più vicino è di certo il Trigno (nella foto durante il maltempo del dicembre 2013) che, fortunatamente, non è un fiume incassato. Una esondazione potrebbe essere infatti gestita dalla numerosa presenza di aree golenali che accoglierebbero l’acqua sulla loro superficie. Le uniche zone a rischio potrebbero essere quelle artigianali-industriali, che fortunatamente sono poche, situate a ridosso del fiume stesso. Ovviamente bisogna considerare anche le infrastrutture che si troverebbero ad affrontare tale situazione. Non a caso risale al 2003 l’ultimo evento rilevante causato dal Trigno che portò via il ponte di collegamento con Montenero di Bisaccia. Al contrario il nostro territorio sarebbe maggiormente sottoposto a frane e smottamenti a causa anche della sua geomorfologia.
Infatti la composizione in questa zona è costituita da terra in superficie (regolite) che posa su strati di sabbie e limi variamente mescolati che a loro volta sovrastano l’argilla grigio-azzurra che, in alcuni casi, si trova sino a svariati metri di profondità. Il problema si crea nel momento in cui l’acqua filtra attraverso i primi due strati arrivando sino all’argilla impermeabile. Con l’aumento della pressione dell’acqua il terreno comincerebbe a scivolare, chiaramente più c’è pendenza maggiore è la possibilità di scivolamento; un esempio di questo è sicuramente la frana del ‘56 che colpì Vasto.

Per quel che riguarda il clima, potrebbe esserci una correlazione tra la presenza del massiccio della Majella e l’Appennino di modo che la zona del Vastese risulti protetta dalle perturbazioni?
Le risposte a questa domanda sono contrastanti. È vero che in queste zone non si verificano troppi eventi straordinari però, già nel Pescarese, qualche anno fa, c’è stata una importante alluvione. Tuttavia, anche da noi, la costa soffre maggiormente questi eventi. Il problema in questo caso è la costruzione della rete fognaria che è stata progettata in passato per un utenza che ormai è aumentata a dismisura. Non a caso si può notare che quando i tombini non riescono a gestire l’acqua che viene giù si sollevano e lasciano uno strato di circa 10/15cm in alcune zone. Oltre a questo va anche tenuto presente che la presenza delle sabbie, anche sotto le costruzioni, potrebbe ridursi a causa dei sifonamenti proprio sulla costa. In conclusione possiamo anche dire che forse la Majella e l’Appennino hanno un ruolo relativamente importante visto che spesso offrono il loro versante occidentale per lasciar scaricare questi fenomeni che arrivano da noi indeboliti o rarefatti, anche grazie all’incanalamento dei venti tra i monti che mitigano le correnti.

Passando invece alla situazione stradale, ci sono numerosi esempi di strade fortemente dissestante in zona che, anche dopo continue riparazioni, tornano allo stato precedente. Questa situazione può essere causata solo dall’incuria oppure c’è la possibilità che sia la composizione del terreno a comportarne lo scivolamento? Inoltre i ‘buchi’ che ogni tanto si creano nell’asfalto da cosa possono essere causati?
Anche in questo caso la risposta può essere duplice in quanto sia l’incuria che la composizione geomorfologica tendono a influenzare il comportamento delle strade. Quello che succede nella maggioranza dei casi è però dovuto alla presenza di materiali differenti dal punto di vista del comportamento geotecnico. Una conformazione geologica di tipo incoerente-coesiva una volta a contatto con l’acqua non fa che provocare sifonamenti ed asportazione di materiali fini di modo che il movimento superficiale risulti evidente. Per fare un esempio pratico, possiamo prendere la Strada Provinciale 181 (via Villaggio Siv) all’altezza di Montevecchio. Li la collina è in continuo movimento a causa della sua conformazione argillosa e della evidente pendenza. Gli interventi non sono mancati nel corso degli anni ma, purtroppo, il terreno è in continuo assestamento quindi bisognerebbe intervenire costantemente.
Per la seconda domanda qualche volta potrebbe essere causato anche dalla copertura di vecchi tombini di condutture ma tutto dipende da cosa c’era prima. Casi analoghi possono rintracciarsi nella presenza di cavità naturali ma sono ancor più rari.

Sempre riguardo la situazione attuale, secondo te, le trivellazioni delle piattaforme poste lungo il litorale possono influire sulla conformazione geologica e causare delle conseguenze evidenti?
Questa purtroppo è una problematica tanto recente quanto complessa che è comunque soggetta a regolamentazioni anche a livello europeo. Infatti sono previste delle autorizzazioni sono in seguito alla presentazione di un piano di sicurezza. Tuttavia l’Italia, a differenza di molti altri paesi, è una sorta di paradiso per la sperimentazione di nuove tecniche di perforazione visto che esistono leggi in grado di annullare il rischio per le imprese e, al contempo, le aliquote (royalties) sul prodotto estratto risultano essere molto basse (si parla infatti del 4-5% rispetto al 30% negli USA, fino ad arrivare al 50-80% per Canada e Russia). Le ultime tecniche di perforazione, tra cui il fracking, puntano a fratturare idraulicamente lo strato di roccia per l’estrazione dei prodotti dal sottosuolo. Detta così sembrerebbe una procedura innocua se non viene considerato l’enorme utilizzo della risorsa acqua e ancor di più l’utilizzo di agenti chimici che potrebbero inquinare la zona circostante alla trivellazione. Queste tecniche sono sotto osservazione e in fase di ulteriore studio perché potrebbero provocare modifiche alla situazione geomorfologica visto che viene estratto del materiale che riempiva il sottosuolo.

Secondo te in seguito ad un accurato studio geologico si può costruire ovunque?
No, non si può costruire ovunque. La possibilità di costruire deve essere valutata attentamente, previo una modellazione geologica preventiva e indispensabile del sottosuolo. Esistono delle norme a livello geologico per l’edificazione ordinaria. Non a caso il nostro territorio è regolato dal Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) che ripartisce il territorio tramite l’individuazione e la perimetrazione delle aree in cui esistono pericoli molto elevati (zone rosse), elevati (zone gialle), moderati (zone verdi) dal punto di vista delle dinamiche geomorfologiche di versante. Mentre nelle zone bianche l’edificazione è consentita rispettando i piani comunali, in quelle verdi, il progetto necessita di ulteriori autorizzazioni comunali. Nelle aree gialle bisogna produrre uno studio approfondito al vaglio dell’Autorità di Bacino; infine in quelle rosse la costruzione è completamente vietata, tranne opere ed interventi finalizzati alla mitigazione del rischio e della pericolosità gravitativa ed erosiva.

Si dice sempre che la presenza degli alberi lungo un costone o su una collina riducono il rischio di frane. Tuttavia nella zona sovrastante la SS16 prima di giungere a Punta Penna le abitazioni non mancano a differenza degli alberi che sono numericamente inferiori. Ecco, quella è una zona sicura per costruire oppure corre parecchi rischi?
Vero, ci sono opere di ingegneria naturalistica che riducono il rischio di frane e smottamenti, come gli alberi con radici ramificate. Per quel che riguarda la zona orientale del costone di Vasto come hai appena accennato, ci si trova dinanzi ad un territorio fortemente a rischio, che viene sottoposto a continuo monitoraggio e spesso a opere di consolidamento anche se il rischio resta sempre abbastanza alto.
 

Passando alla situazione sansalvese, secondo te ci sono zone in cui potrebbe verificarsi un dissesto particolarmente grave, oppure la cittadinanza può dormire sonni relativamente tranquilli?
Dunque, non si possono dormire mai sonni tranquilli, soprattutto nella nostra provincia. Non a caso il Chietino è una delle zone in cui la percentuale di dissesti attivi è tra le più alte in Italia. Per San Salvo il vero rischio potrebbe ritrovarsi nella zona costiera. Non a caso, in situazioni di eventi meteorologici straordinari, potrebbe avvenire l’allagamento dell’intera zona a causa, come dicevamo prima, dell’impossibilità di smaltimento dell’intero carico idraulico a cui la città sarebbe sottoposta. Tutto ciò sarebbe dovuto a una progettazione ormai sottodimensionata degli impianti di scarico rispetto all’attuale utenza e di condotte di allontanamento delle acque. Ecco perché penso che bisognerebbe emanare leggi regionali che puntino a mitigare  e prevenire il rischio idrogeologico. Si è stimato, che la spesa per il ripristino dei danni causati da catastrofi naturali dal dopoguerra ad oggi ammonta a circa 240 miliardi di euro. Mentre i fondi messi a disposizione per la prevenzione negli ultimi venti anni sono stati solo 8 miliardi. Oggi si parla di altri 9 miliardi dilazionati nei prossimi venti anni ma chissà come finirà.

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