âSignore, allontanati da me, perché sono un peccatoreâ (Lc 5,8).
Le parole sono di Pietro e ci aspetteremmo che uscissero dalla sua bocca e dal suo cuore dopo il tradimento consumato nella notte dellâarresto. Ma quella notte non esce nulla, solo un silenzio riempito di lacrime amare.
Qui invece siamo di fronte ad un evento, che dovrebbe far traboccare di gioia: una pesca più che abbondante, dopo una notte nel lago spesa inutilmente.
Paradossalmente non è la notte del peccato, ma quella della grazia a far emergere nellâapostolo la coscienza del proprio peccato; perché il peccato non è il nostro senso di colpa, ma la lettura di fede delle nostre scelte sbagliate.
Ne nasce una contemplazione stupita della grandezza e dellâamore di Dio, che a fronte dei nostri fallimenti ritesse la sua alleanza.
Infatti, appena raccolta la professione di Pietro, il Vangelo annota: âLo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fattoâ (Lc 5,9).
Oggi si ama dire, nel tentativo di rivitalizzare un sacramento in crisi, che la confessione del peccato va preceduta dalla confessione di lode.
Disponendoci a lodarlo, riconosciamo che il perdono viene prima del peccato e il suo amore di misericordia sopravanza i nostri fallimenti e rifiuti.
Non ci confessiamo peccatori perché abbiamo meritato il suo castigo (come esprime lâantico atto di dolore, che la riforma liturgica avrebbe peraltro modificato), ma perché afferrati dallo stupore di una âbuona notiziaâ che ci raggiunge.
Eâ la modalità con la quale avvengono le conversioni evangeliche, quando Gesù si accosta ai peccatori.
Non fa loro la predica, evocando castighi, piuttosto li fa sentire perdonati e amati in modo immeritato.
Eâ esperienza condivisa da tante donne e uomini, allâinterno delle Scritture. Isaia, similmente a Pietro immerso nella visione grandiosa della gloria del Signore, confessa anchâegli la propria indegnità âOhimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sonoâ (Is 6,5).
Solo da questa confessione e dal successivo gesto di purificazione delle labbra - dalle quali dovrà uscire la parola stessa di Dio - scaturisce la decisa risposta alla chiamata, sorprendente per uno che aveva appena detto di sentirsi perduto; âEccomi, manda me!â (Is 6,8).
Paolo di Tarso ha addirittura unâesperienza mistica, inenarrabile, di incontro con il Risorto; da essa nasce la sua missione di annuncio, di cui è ben consapevole: âVi proclamo, fratelli, il vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldiâ (1Cor 15,1).
Solo una tale consapevolezza distoglie dalla concentrazione su di sé e consegna a Colui che ci ama i fallimenti, non rendendoli assoluti al punto da bloccare ogni ulteriore cammino.
Eâ quando invece inizialmente non ha saputo fare Simon Pietro, che allâinvito di Gesù risponde con la rassegnazione di chi pensa non ci sia più nulla da fare: âMaestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nullaâ (Lc 5,5).
Eâ la scelta di tirare i remi in barca, che assai spesso rischiamo di fare quando unâesperienza non porta i frutti sperati, nella vita di coppia, come nella relazione educativa, nellâambito del lavoro, come in quello amicale.
Pietro, tuttavia, reagisce e nonostante tutto accetta la scommessa.âMa nella tua parola getterò le retiâ (Lc 5,5).
Avviene un passaggio, da se stesso alla parola dellâAmico e Maestro; ciò gli permette di prendere il largo, non rimanendo inchiodato alle proprie delusioni.
Eâ quanto lo Spirito chiede anche a noi, con le nostre esitazioni, le nostre titubanze, i dubbi non dissipati.
Câè unâunica via di uscita, far affidamento su una Parola più grande di noi, ributtandoci nel mare della vita, non più nella presunzione di farcela da soli, ma nellâatteggiamento di chi allarga le reti per ricevere un dono.