Alcuni anni fa, un libro rilevante sullâeducazione dei ragazzi aveva come titolo: âI ânoâ che ci aiutano a crescereâ (Asha Phillips, 1999). Lâautrice era preoccupata di vedersi attorno, giovani creature senza spina dorsale, incapaci di assumersi una qualsiasi responsabilità degli altri, sempre in procinto di nuove esperienze e mai dediti a qualcosa che desse senso stabile alla loro vita. Li vedeva candidati al vuoto dellâanima e dunque, paradossalmente, pronti a saltare, in un domani prossimo, sul carro di qualsiasi vincitore, e a farsi usare dal primo venuto, capace di promettere la difesa del loro infantilismo e un qualche ammiccamento ai mille volti del loro io narcisistico.
Prognosi poco allegra, derivante da una diagnosi seria: la non scelta, some sistema di vita e, il principio del piacere eretto a legge indiscutibile dellâesistenza, nel nome di una fantomatica libertà da tutto e da tutti, ma indirizzata al niente.
Ã, sotto i nostri che, per i più svariati motivi, oggi si esalta la libertà fino al punto di crederci autosufficienti in tutto, di poter avere di noi e degli altri senza nessuna remora, purché sia, salva la possibilità stessa, anche fisica, di mettere in atto i nostri progetti. Così, però, ce ne accorgiamo ogni giorno, si dissolve la stessa società . Così il mondo diventa una giungla e anche lâuomo cresce senza volto, incapace di vivere pienamente, di fare nella sua esistenza qualcosa di compiuto e sensato. Si rischia di rimanere eterni bambini vittime del capriccio, pur ritenendoci âpadriâ di noi stessi.
Credo che il problema pedagogico e sociale oggi resti intatto. Perché i frutti di uno spontaneismo sfrontato, di un culto idolatrico della libertà sono palesi. Basta guardare cosa ne è delle scelte serie della vita: matrimoni in crisi, ordinazioni sacerdotali quasi a scadenza, figli concepiti per gioco e poi eliminati, salute fisica minacciata da dipendenze distruttive, annullamento, in tanti, della coscienza del bene comune. E tutto questo fino al punto che chi si allontana da questa norma non-scritta deve giustificarsi. à da clandestino essere fedele a un amore, mantenere fede alle responsabilità assunte, non transigere sui valori scelti a propria norma di vita. à ânormaleâ dire a un figlio: âHo lasciato tua madre perché ero schiacciato dalla responsabilità â¦, avevo paura di tuttoâ¦, paura che vi potesse capitare qualcosa. Avevo paura di non essere lâuomo adatto a lei. Non sono un uomo coraggioso. Nelle situazioni gravi fuggo. Tua madre lâaveva capito. Temeva anche lei che da vecchia lâavrei abbandonata in un ospizio. Così sai chi sonoâ¦â.
Esiste anche un aspetto teologico del problema che è importante mettere in risalto. Il rapporto legge-libertà è un problema eterno quanto lâuomo, forse segno di una nostra non totale appartenenza a questo mondo, di una trascendenza iscritta nel più profondo di noi. Aspiriamo a una vita, dove la spontaneità stessa sia giustizia, bellezza e amore, bene dallâaltro e gioia personale. San Paolo, grande innamorato della libertà in Cristo e del regime di âgraziaâ, grande critico della legge, avvertiva comunque che la libertà non può essere pretesto per il libertinismo (cfr Gal 5,13) né, ovviamente, per opprimere lâaltro e passare dalla legge dellâamore a quella della forza. Essa ci fa simili al Padre, Dio dâimmenso e gratuito amore, che proprio solo in un amore infinito ed eterno ha la sua unica legge.
Se Paolo affronta il problema di un possibile scadimento della âgraziaâ e del regime di libertà a capriccio, vuol dire che nella primitiva Chiesa gli equivoci erano evidenti. Quei cristiani, cresciuti in un regime di generalizzata schiavitù, rischiavano grosso quando si proclamava il loro diritto alla libertà dei figli di Dio: ormai tutto è permesso, tutto è lecito.
Abbiamo bisogno di âregoleâ e lâattuale clima libertario può portare danni seri alla vita, inducendo a infantilismi senza numero, con ricadute pesanti. Comunque, âevitare Scilla non ci deve fare incappare in Cariddiâ direbbe Virgilio.
Parlare di âregoleâ non ci deve far dimenticare che siamo chiamati a libertà . Una legittimazione di mancanza di regole, di orari, di programmi porta a una confusione di libertà e quindi a non prendere in mano il timone della propria vita.
Allâinsegna del âche male câè?â, si può cadere con una certa facilità in abitudini che rischiano di diventare vizi. Navigare su internet, a ruota libera, secondo curiosità è più comodo che imporsi una lettura o andare a dormire. à più facile vedere che pensare. à molto più facile non far niente di serio, che darsi un tempo per un âlavoroâ. Ci troviamo di fronte ad una rinuncia allâoperosità e alla sobrietà , cioè alla rinuncia a dare priorità a scelte importanti e decisive nella vita, a pianificare il proprio stile in armonia con lâambiente sociale in cui si vive, a contestare questo prepotere dellâavere sullâessere che è tipico del nostro tempo. Quale ebbrezza di vita vogliamo vivere? Cerchiamo una qualità della vita o ci lasciamo andare al facile, al âcosì fan tuttiâ, alla soddisfazione del primo capriccio, sia esso lâultimo modello del computer o lâultimo modello di âquel fuori strada che tanto mi piaceâ. Nellâessere âebbriâ (opposto di sobrio) di cose e consumi, oppure no, noi manifestiamo la qualità della nostra vita.
Abbiamo assoluto bisogno di prendere in mano la nostra esistenza con vigore e coraggio. Sonno, levata, pasti regolari, è regola di vita che molto hanno a che fare con il nostro tempo.
à quel chiamare bene il male, male il bene, libertà libertinismo, regola la mancanza di regole, ventata di creatività lâapprossimazione. Darsi una regola di vita ha delle notevoli e positive ricadute non solo sulla qualità della vita, ma anche sulla società . Ordinare la nostra vita è un dovere. In una visione distorta della libertà , intesa come possibilità di fare qualsiasi esperienza, anche se in aperto contrasto con lâorientamento dato alla nostra vita (cristiana), una regola di vita mal si sopporta. Lâunica regola accettata sembra essere lo spontaneismo, radicato in un forte soggettivismo.
Ma è proprio vero che la regola soffoca la libertà o non piuttosto vero che la sostiene e purifica? Chi guida di notte unâauto si sente costretto dalla presenza sul manto stradale delle linee bianche che delimitano le corsie? O non le considererà piuttosto un aiuto per una guida sicura? A meno che non voglia vivere forti âemozioniâ e âguidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morireâ (L. Battisti). Papa Francesco, parlando ai giovani, ha affermato: âMolti vi diranno che essere liberi significa fare quello che si vuole. Ma qui bisogna saper dire dei no. Se tu non sai dire di no, non sei libero. Libero è chi sa dire sì e sa dire no. La libertà non è poter sempre fare quello che mi va: questo rende chiusi, distanti, impedisce di essere amici aperti e sinceri; non è vero che quando io sto bene tutto va bene. No, non è vero. La libertà , invece, è il dono di poter scegliere il bene: questa è libertà â. à sommamente necessario ordinare la nostra vita, darle una direzione, andare intenzionalmente verso una meta, anche quando costa. Sicuramente tutto questo non contraddice la libertà , anzi la rende umana e la pone al servizio di ciò che è essenziale. In fondo, anche se non ci riflettiamo molto, siamo strutturalmente un dono di Dio; e dei âdoniâ ci si prende cura, se non si vuole cadere nellâingratitudine, forma sottile di fede spenta.
Ci sta a cuore la vita? Cerchiamo sempre di indicare la condizione essenziale perché il disastro di vite inutili e dannose non sia più sotto i nostri occhi.
Iniziare a darci regole di vita è il minimo, uno spianare il terreno perché la vita non sia insensata, non sia âliquida, poltiglia di mucillaggine con svolazzanti âcoriandoliâ.
E poi, resta tutto il resto: noi cristiani siamo testimoni di un mondo altro, portatori di quella pace che Dio vuole dare ai suoi figli, compagni di cammino di ogni creatura che vuole accogliere dentro di sé il mistero della vita, cioè Dio-Amore.