Il buon grano vale più di tutta la zizzania, il bene è più forte del male!

Commento al vangelo

Don Simone Calabria
23/07/2017
Religione
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L’autore della Prima Lettura, di fronte alla superiorità dell’uomo, ci presenta un Dio “lento all’ira e grande nell’amore”, che si prende cura di tutte le cose con pazienza, indulgenza, mitezza.

S. Paolo, nella Seconda Lettura, ci assicura che alla nostra preghiera alcune volte vuota, senza senso, viene in aiuto lo Spirito Consolatore.

Nel Vangelo, mediante queste tre parabole, Gesù ci fa crescere nella fede.   

Questa parabola ha cambiato il volto di Dio. Padre Giovanni Vannucci, uno dei più importanti mistici del ‘900, la interpretava con parole stupende. Diceva: “il nostro cuore è un pugno di terra, seminato di buon seme e assediato da erbacce; una zolla di terra dove intrecciano le loro radici, talvolta inestricabili, il bene e il male”.

Domandano i servi al padrone di casa: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. La risposta è forte, decisa: “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Qui c’è un conflitto di sguardi: quello dei servi si posa sul male, quello del padrone sul bene. Il seminatore infaticabile ripete: guarda al buon grano che spunterà domani, non alla zizzania.

Tu pensa al buon seme. Davanti a Dio una spiga di buon grano vale più di tutta la zizzania del campo, il bene è più forte del male, la luce conta più del buio.

La morale del Vangelo infatti non è quella della perfezione, dell’essere senza macchia, ma quella del cammino, della fecondità, del nuovo inizio, di grappoli che maturano decisamente sotto il sole, di spighe che dolcemente si gonfiano di vita.

La parabola ci invita a liberarci dal fare il solito lungo elenco dei nostri peccati, delle fragilità della nostra condizione umana, delle difficoltà che incontriamo ogni giorno, che poi è sempre lo stesso.

La nostra coscienza chiara, illuminata e sincera, deve preoccuparsi, prima di tutto, di ciò che di buono, di bello, Dio ha seminato dentro di noi: il nostro campo, affidato alla nostra cura. Solo così potremo vedere le tenebre scomparire e rifiorire la luce.

Mettiamoci sulla strada con cui Dio agisce: per vincere il buio del nostro cuore Lui accende il mattino ridonandoci la fede; per far fiorire la steppa sterile getta infiniti semi di vita; per sollevare la farina pesante mette un po’ di lievito.

Nel cammino che faremo in questa nostra compagnia bisogna che nella nostra fede, come ci ricorda Papa Francesco, mettiamo in gioco quanto abbiamo di più intimo, il nostro cuore, la nostra intelligenza, la nostra libertà, in un rapporto profondamente personale con il Signore che agisce in noi. Ma la fede è anche atto e atteggiamento comunitario, è il “noi crediamo” della Chiesa. La gioia della fede è dunque una gioia che va condivisa con tutti.

Perciò condividere questa esperienza di educazione alla fede è cosa grande e fondamentale che coinvolge l’intera comunità cristiana: gettare il piccolo seme. Amen!

 

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