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“Elogio del tè” di Sara Cardarella

Il 28 giugno una mostra all’erboristeria l’Albero del Sole dedicata al tè

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La saggezza di tutto l’universo è in una tazza di tè.
(Proverbio tuareg)

Il 28 giugno avremo la fortuna di poter vedere a San Salvo una mostra tanto bella quanto originale, presso la decennale erboristeria L’Albero del Sole. La nostra concittadina Natalia Di Virgilio, proprietaria dell’attività, ha da tempo contattato molti artisti locali chiedendo loro di illustrare, dipingere, creare su delle bustine di tè. I risultati sono sorprendenti e davvero degni di un pomeriggio di condivisione, scoperte e bellezza. Molto si potrebbe aggiungere sull’iniziativa lodevole, il valore degli artisti e il pregio delle opere, ma altri sapranno fare certamente meglio di me. Dal canto mio, unsecolo di psicoanalisi e discipline affini mi hanno ormai convinta del fatto che le motivazioni vere che ci muovono sono sempre più profonde, più significative e, ahimè, più segrete delle nostre azioni concrete e visibili; così, per divertirmi un po’, provo ad immaginare alcuni dei motivi che hanno fatto cadere la scelta della nostra cara erborista proprio sul tè, fra i moltissimi prodotti di cui si occupa, cimentandomi in un –parziale- elogio del tè:

Il tè è multietnico: bianco, nero, verde, giallo, rosso e grigio.

Il tè è equo, solidale, gluten free, bio, veg e pro.

Il tè è internazionale: giapponese, tailandese,English, americano, cinese, boliviano.

Il tè attraversa i secoli e i continenti: madrepatria e colonie, carovanieri nel deserto, hippie di San Francesco, George Washington e Toro Seduto, gli Incas e le signore inglesi imbellettate, suffragette e contadini, Elisabetta I e Sonia Gandhi non hanno mai rinunciato al proprio 5 o’clock Tea. 

Il tè persevera in un modello da recuperare: è buono. Ed “è buono qui e qui ”.

Il tè attiva il nostro corpo: calmante, eccitante, digestivo, depurativo, ayurvedico.

Il tè rompe gli stereotipi di (ogni) genere: “un biondo (un rosso, un nero e se si vuole anche un verde) per la vita”.

Il tè fa scoppiare le rivoluzioni: dal Boston Tea Party sono nati gli Stati Uniti d’America e il loro “diritto alla felicità”.

Il tè fa sì che esista una “cerimonia del tè”, Il Cha no yu (茶の湯) - rito sociale e spirituale.

Il tè ci insegna ad ascoltare: a differenza del caffè, che si prende al volo e di corsa, il tè richiede tempi distesi (pena ustione del cavo orale) e ci regala una pausa, da condividere con le persone care in chiacchiere fitte eintime, o per ascoltare se stessi, fra una Pranayama e un esercizio di mindfulness. Non a caso montagne di musicisti gli hanno poi reso il debito riconoscimento: da Maurice Ravel, con il suo ‘Five o’clock‘ al baronetto John Lennon, al sovvertitore Mick Jagger(“Prendo il tè alle tre”), a Ozzy Osbourne e Boy George, che si commenta da solo: “I would rather have a cup of tea than sex” .

Il tea crea lavoro: oggi esistono le Tea blogger.

Il tè ci ricorda di lottare per il lavoro e per tutti gli sfruttati nelle piantagioni del mondo.

Il tè ci fa amare la pioggia.

La letteratura è intrisa di tè: il Cappellaio, da eterno adolescente, ricorda ad Alice: “E’ sempre l’ora del tè, e negli intervalli non abbiamo il tempo di lavare le tazze” e Peter Pan e Wendy partiranno per la loro avventura solo dopo aver preso il tè. Agatha Christie non ne ammazzava uno se non dopo la consueta ingestione dell’infuso coadiuvante, Proust ci ha scritto 3724 pagine (perché, se tutti ricordiamo la Madelaine, è ora che si cominci a fare giustizia anche al buon tè in cui era inzuppata) e anche negli spazi intergalattici di Douglas Adams ci si rendeva conto di quello che mancava: “C’è un tè su questa astronave?”.

Infine, fra gli altri bevitori di carta affascinanti, folli e vivi, non posso non citare l’altra Alice, quella che si fa il whisky distillando i fiori e che tiene per sé “un amore così lungo” con il nostro amato Faber.

Insomma, sarebbe davvero interessante (e voluminosa) una storia sociale del tè – probabilmente qualcuno l’ha già scritta. Per ora, godiamoci la bella mostra e il grande regalo che i nostri artisti e Natalia ci fanno.

Chissà che non sia l’inizio di un Cha no yu di condivisione cittadina.

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