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Le Nereidi un mese dopo l'alluvione

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È passato un mese da quel giovedì 5 marzo, quando un torrente decise di diventare fiume, di superare i suoi argini e allagare attività commerciali, abitazioni, ricordi.
Ci siamo recati nei cortili “privati”, delle Nereidi e ci siamo trovati davanti uno scenario devastante.

Il fango, nonostante le numerose giornate di bel tempo, invade ancora tutte le strade e rende impossibile il passaggio in numerosi punti. Ancora molti mobili, pezzi di vita, sono ammucchiati sulla strada, i segni dell’acqua affiorano ancora alle pareti.
Incontriamo chi nonostante tutto, crede ancora in questo luogo e ha ripreso la propria attività, spalato via il fango, gettato via l’inutilizzabile, ha ricominciato il proprio lavoro, "non si possono buttare via i sacrifici di una vita".

L’acqua si è ritirata quattro giorni dopo il nubifragio, tutti hanno cominciato subito i lavori di recupero. Hanno lavorato per dieci giorni senza luce, senza aiuti, nessuna solidarietà tra le mura delle Nereidi. Hanno messo fuori ciò che non era recuperabile e aperto un sentiero per consentire ai clienti affezionati di tornare, con pompe e scope hanno lavato anche i marciapiedi, affinché i clienti giungessero nonostante il fango.
Queste persone, le vediamo normalmente nei telegiornali, piegate ma non prone, a recuperare la propria vita. In questi giorni le avevamo sotto casa e nessuno si è prodigato ad aiutarli, “affari loro”.

È il senso di colpa che pervade camminando nei cortili “privati” delle Nereidi, per l’aiuto mancato, non solo istituzionale o di coloro che dovrebbero essere preposti all’aiuto in caso di calamità naturali, ma per il mancato aiuto a degli amici, a dei conoscenti, che si sono trovati e si trovano in un momento di difficoltà e che non siamo riusciti ad aiutare.

Abbiamo guardato i video, letto gli articoli, ci abbiamo messo un mi piace e ci siamo voltati dall’altra parte.

 

Foto e servizio di Antonia Schiavarelli

 

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