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Cup, 58 milioni di euro per restare in fila

Dal 1 agosto è attiva a San Salvo la gestione privata dello sportello prenotazioni

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Dopo il clamore delle ferie, l’attenzione è calata sul Distretto Sanitario di Base di via De Gasperi a San Salvo, ma i problemi restano, il CUP non è stato potenziato, ma è stato sostituito l’addetto.

Dal 1 agosto al Centro Unico Prenotazioni (CUP), non troviamo più la signora Patrizia, punto di riferimento da oltre 20 anni dei bisogni dei cittadini sansalvesi.

Il servizio è stato infatti privatizzato, vincitrice della gara, dopo numerosi ricorsi, che si sono succeduti dal 2013, l’ATI (Associazione Temporanea d’Impresa)  composta dalla Gpi di Trento dal Consorzio Sgs di Lanciano, già noto a San Salvo in quanto gestore di molti servizi sociali, l'Exprivia di Molfetta e la Target di Rimini, con un appalto che ammonta a 58 milioni di euro per 5 anni (3+2 rinnovabili).

Nel 2013 Giuseppe Tagliente, allora consigliere regionale, fu il primo ad alzare l’attenzione sull’importo messo a base d’asta (54 milioni di euro), allora il consigliere affermava: “l'importo posto a base d'asta è la risultante della semplice sommatoria dei costi sostenuti sino ad oggi da ciascuna Asl e non di uno studio organico dei costi/benefici né soprattutto dall'analisi delle ragioni di tanta disparità di costi del servizio sostenuto sino ad oggi dalle quattro Asl abruzzesi”.

Si consideri, che lo stesso appalto nella regione Marche è costato un quinto che nella regione Abruzzo.

Il piano di ottimizzazione dei servizi sanitari è dunque partito dai CUP, ma a guardare al solo caso sansalvese, l’ottimizzazione è lungi dal divenire.

Questa mattina, una come tante, in attesa abbiamo trovato 35 persone, erano le ore 10 e dieci erano le persone che in due ore erano state servite.

La signora Patrizia, ora è stata diversamente allocata. I suoi 25 anni di servizio, il suo cosiddetto know how (conoscenze acquisite), non è servito a nessuno, neanche un solo giorno di affiancamento è stato previsto dal nuovo piano di gestione.

58 milioni di euro spesi per privatizzare un servizio che allora veniva definito "integrato in house – outsourcing, espletato con modalità front-office allo sportello con contatto visivo con l'utente e/o richiedente oppure con modalità di Call Center", ma che di fatto detto in italiano spicciolo, non cambia il numero delle persone in attesa.

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