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Marisa, la storica “camiciaia” del mercato

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Il mercato settimanale di una città ha una sua identità che conserva ancora il suo fascino. Non a caso un commerciante in pensione che l’ha vissuto, l’ha definito il primo vero centro commerciale all’aria aperta.  Questa è la storia di una commerciante, Marisa Serafini, che viene a San Salvo tutti i giovedì a vendere le sue camicie perché ama la vita del mercato fatta anche e soprattutto di incontri, saluti e sorrisi.

Quando e come è iniziata la tua attività di commerciante ambulante?

Nella mia famiglia io rappresento la terza generazione che porta avanti un’attività di commercio. I miei genitori avevano un negozio bazar dove vendevano di tutto dall’abbigliamento agli alimentari. Io sono praticamente cresciuta là dentro. Nel 1971, quando non avevo ancora vent’ anni, io e mio fratello Cenzino, abbiamo aperto un grosso negozio di abbigliamento nel nostro paese, Palmoli. Nel 1981 abbiamo iniziato a vendere anche nei mercati dei vari paesi con la formula del commercio ambulante.  Quelli erano un po’ degli anni d’oro per il commercio ambulante. Infatti a un certo punto per noi era diventato molto più conveniente avere la bancarella che non il negozio. Questo anche perché nella sede fissa spesso i clienti ci pagavano dopo un bel po’ di tempo e spesso capitava che neanche lo facevano. Il mercato invece consentiva una maggiore liquidità per acquistare, vendere e non avere troppa merce immobilizzata. Giravamo sette giorni su sette e la mattina ci dovevamo alzare molto presto per preparare il camion e arrivare a destinazione. Ciò nonostante, più conoscevo la vita del mercato e più me ne innamoravo. Mi piaceva e mi piace quel clima umano che si crea in questo luogo: l’ amicizia che si stringe con chi gestisce la bancarella a fianco; c’è un viavai continuo di gente che ti passa avanti e dei quali molti ti rivolgono lo sguardo e il saluto solo perché anche solo una volta hanno acquistato qualcosa da te o semplicemente perché hai incrociato più volte il suo sguardo e nel corso del tempo ti è diventato familiare, il paesano che si è trasferito nel paese dove ti trovi eccetera eccetera.

Perché hai scelto di vendere solo camicie?

Un po’ per caso. Tra il 1981 e il 1983, per ottenere il posteggio per la licenza ambulante qui a San Salvo, dovevo avere un settore della tabella merceologica diversa dagli altri. Di abbigliamento ce ne erano già un sacco e siccome il mio furgone al 50% era pieno di camicie, ho pensato di specializzarmi in questo settore. Il mercato a quei tempi si faceva lungo via Dello Stadio e io venivo con un cabinato 850 bianco, stracolmo di camicie. Oggi ho un furgone che è letteralmente un negozio ambulante. Anche se facevo i mercati ho continuato anche l’attività di negozio prima a Palmoli e poi dal 1991 a Torino di Sangro, città originaria di mio marito dove mi sono trasferita insieme ai miei 2 figli e dove tutt’ora viviamo. Io mi rifornivo da un produttore al quale consigliavamo tessuti e modelli in base a quanto ci richiedevano i nostri clienti sia al mercato che al negozio. Nel tempo mi sono settorializzata anche nel negozio e se prima le camicie le compravo poi ho cominciato a produrle. Ora vendo esclusivamente camicie con due nostri marchi regolarmente registrati presso la Camera di Commercio e in base alle richieste del mercato ci stiamo specializzando anche in altri settori. In questa grande avventura mi ha seguito anche uno dei miei due figli, Sergio Polidoro che vive il mercato da quando aveva due anni.

Quali sono stati i tuoi principali punti di forza per raggiungere questo traguardo?

Ho sempre puntato su una qualità medio-alta e ho fatto in modo che i miei clienti avessero sempre una vasta gamma di camicie da scegliere. Se entri in un negozio che è vuoto e ha soli pochi capi mette tristezza e non ti fa venire voglia né di comprare e né di tornarci. Ma sicuramente la cosa più importante è stata la  passione per quello che faccio e un amore viscerale per la vita del mercato e anche se oggi i tempi sono cambiati continuo il commercio ambulante con la consapevolezza dell’oggi e che domani è un altro giorno!

 

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