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Storie di donne: Maria Vittoria Di Croce

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Storie di donne, oggi parla di Maria Vittoria Di Croce.

Il suo è un cognome ingombrante che si fa fatica a portarlo, devi essere all’altezza dell’impegno e delle capacità di chi ti ha preceduto, il rischio è quello di essere considerata "la figlia di", di non avere meriti tuoi ma solo strade spianate, “Avere la strada già spianata è una responsabilità ed è sempre un dover rendere ad altri conto delle tue scelte”.

Ma Maria Vittoria, figlia del dottor Nicola Di Croce e della dottoressa Antonella Gangemi e nipote del dottor Mario Di Croce, pronipote della dottoressa Marianna D'Annunzio, ha dimostrato subito di voler emergere per meriti suoi. Si diploma con il massimo dei voti al liceo classico Pantini Pudente, anni di studio intenso, alternato alle ore di allenamento di pallavolo, che l’hanno portata a giocare giovanissima in serie C e poi in B2, l’abituano allo studio e al sacrificio.

Nel 2012 affronta i test d’ingresso alla facoltà di medicina, che supera brillantemente, ma decide di studiare ciò che sua madre, suo padre, suo nonno e la sua bisnonna, hanno fatto prima di lei: farmacia.

Anni di studio, uno dei quali trascorso con l’Erasmus a Granada, incontri importanti che le insegnano a guardare la realtà con la certezza che non esiste un solo modo di vivere e sentire il mondo, ma diversi. “Le persone che ho incontrato mi hanno aperto un nuovo sguardo sul mondo e sul modo di viverlo, con limiti che devono essere solo quelli posti dai nostri principi e dalle nostre regole, questo mi ha aiutata a pormi nuovi traguardi e la consapevolezza di poterli raggiungere”.

Maria Vittoria si laurea nell’ottobre 2017 con lode, presso Alma Mater Studiorum a Bologna, lì dove si sono incontrati ed innamorati i suoi genitori, a 60 anni esatti dalla laurea in farmacia di suo nonno Mario, con una tesi sperimentale in farmacologia a Valencia, con uno studio sui nutraceutici nel trattamento della colite ulcerosa. I risultati conseguiti con la sua tesi sono tali che gli viene proposto di rimanere a Valencia, per un dottorato di ricerca per proseguire gli studi fin lì realizzati, ma Maria Vittoria ha un animo inquieto e decide che la sua esperienza in Spagna era terminata.

Dopo aver conseguito l’abilitazione alla professione, decide di realizzare un sogno da anni nel cassetto quello del volontariato.

Manda il suo curriculum a varie associazioni di volontariato internazionale, sostenendo colloqui su competenze professionali e motivazionali. Dopo aver fatto diversi vaccini, che solo a dirli metton paura: febbre gialla, tifo, epatite A, tetano, meningite e malaria, parte alla volta di Nairobi il 5 gennaio del 2018, ospite di una famiglia africana, collaborando con l’associazione Boundless Love.

“Ho lavorato per un mese a Kibera, la baraccopoli più grande del Kenya. La mattina insegnavo in una scuola, il pomeriggio ero di turno nella farmacia dell’ambulatorio. L’80% dei casi che si presentavano da noi, erano casi di malaria”.

Le ho chiesto se e quando ha avuto paura, la sua risposta è stata aperta e sincera: “Sempre. La paura non mi abbandonava mai. Una donna bianca, bionda, occhi chiari, era un facile bersaglio. Ero sempre accompagnata, per qualunque spostamento. Vivevo in una famiglia africana, in una delle poche case in muratura presenti, circondata da mura, per accedere alla quale c’erano cancelli blindati e guardie armate. Non ho mai dormito tranquilla, ma la gratificazione e le persone che incontravo durante il giorno, mi facevano trovare la motivazione per restare e continuare il mio lavoro ed il mio impegno. La paura è fondamentale per evitare i pericoli. Ogni sera controllavo con un test se avevo contratto la malaria, probabilmente la mia formazione amplificava la percezione di un pericolo subdolo come quello dei virus e dei batteri.

Ero molto attenta a quello che mangiavo o bevevo. L’unica volta che non ho seguito le regole che mi ero imposta, di mangiare solo frutta sbucciata o verdura cotta, è stata quando mi hanno offerto del pesce e dei pomodori. La notte ho avuto una reazione allergica piuttosto violenta, che ho superato solo grazie all’assunzione di una dose di cortisone”.

Un mese in Africa, trascorso il quale eri felice di tornare?

“Ero stanca e provata, ma non sarei voluta tornare. In ogni esperienza che ho compiuto in questi anni, ho sempre pensato, ok traguardo raggiunto, si va avanti, questa volta è stato diverso, ho avuto la sensazione di aver lasciato un percorso incompiuto”.

Cosa ti è rimasto di questa esperienza?

“Il ricordo delle persone incontrate. I bambini, i miei compagni. In questa esperienza ho visto la povertà quella vera e percepito la sensazione del pericolo, dovuta innanzitutto al fatto, che le persone che incontravo non avevano nulla da perdere, perché nulla avevano. Come fai a punire una persona per un reato se non ha nulla da perdere?”.

Maria Vittoria è rientrata in Italia il 1 febbraio. Da venerdì comincerà un nuovo percorso di lavoro a Milano, ottenuto grazie ad un curriculum costruito passo dopo passo con sacrificio ed intraprendenza, grazie anche all’esempio di una famiglia che l’ha cresciuta in una quotidianità fatta di medicina, impegno e dedizione al lavoro, nel rispetto delle persone.

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