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Compito del credente è quello di accompagnare, essere ponte per l’altro

Commento al vangelo

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La morte è orribile solo per colui che non crede in Dio, oppure crede in un Dio malvagio, il che è la stessa cosa. Per colui che crede in Dio, nella sua bontà e vive in questa vita secondo la sua legge ed ha sperimentato questa sua bontà, per costui la morte è solo un passaggio

Queste parole di Tolstoj ci introducono nel lungo Vangelo di questa XIII domenica del tempo ordinario che ci ricorda che uno dei compiti del credente è quello di accompagnare, essere ponte per l’altro che dalla  solitudine (emorroissa) passa al vivere insieme e dalla morte (la figlia di Giaro) passa alla vita.

La comunità cristiana è chiamata a non escludere e a non far sentire soli nessuno: è l’esperienza drammatica di questa donna che a causa delle perdite di sangue da 12 anni (nel mondo ebraico questa situazione la rendeva impura non poteva toccare o farsi toccare da nessuno) era costretta all’isolamento, questa donna da 12 anni non può più essere donna, sposa e madre“la solitudine è sofferenza maledetta non quando si è soli ma quando si ha il sentimento di contar niente per nessuno.”Quante volte noi con il giudizio, con i nostri atteggiamenti di chiusura anche in parrocchia apriamo negli altri ferite sanguinanti che tolgono vita al nostro annuncio? Quante volte creiamo gruppi l’uno contro l’altro nelle nostre sagrestie perché dobbiamo emergere?  Il secondo atteggiamento della comunità è quello di entrare in punta di piedi nella stanza del dolore dell’altro per essere ponte di speranza che dalla morte passi alla vita. Nella casa di Giairo si sta consumando un dramma: la figlia di 12 anni è ammalata e muore ma Gesù invita il padre ad avere fede a credere profondamente a non cadere nella disperazione e questa perseveranza lo salverà. Quante volte con il nostro atteggiamento di fronte al dolore dell’altro siamo messaggeri di morte? Quante volte anche noi cristiani facciamo fatica a credere nella risurrezione? Quante volte la nostra esistenza parla di morte e non di vita?

La Parola di Dio di questa domenica ci ricorda che chi vive il proprio servizio nella fede non esclude o isola nessuno ma accompagna in un cammino di relazioni e che il nostro abitare il cuore dell’altro è solo per portare speranza e mai disperazione e morte. Chiediamo al Signore la fede nel contatto sanante con Lui, quella del Suo sguardo che non ci lascia anonimi; la fede nel dialogo con Lui che ci libera davvero, e l’abbandono di Giairo: anche quando tutto appare perduto, la vita ci sorprende, non lasciandoci dormire.

“Dammi il coraggio di uscire da me stesso.
Dimmi che tutto è possibile per chi crede.
Dimmi che posso ancora guarire,
nella luce del tuo sguardo e della tua parola”. 

Don Gianluca Bracalante

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