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Se non siamo aperti alle sorprese di Dio, Egli non farà altro che deluderci

Commento al vangelo. I cristiani festeggiano l'Epifania e non la befana

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La festa odierna ci è necessaria per completare e vivere a pieno il tempo di Natale che ormai va terminando. Usurpata dalla tradizione della Befana, l’Epifania è la festa della manifestazione del Signore quale salvatore di tutti, degli ebrei e dei pagani, come testimonia la seconda lettura.

Tuttavia, la liturgia è dominata da questi misteriosi personaggi di cui si sa pochissimo, i famosi Magi. La Scrittura non ci dice da dove essi vengano, né quanti essi siano; ci dice però che questi sapienti partirono per un viaggio senza sapere cosa cercare, se non un generico “Re dei giudei”. Dovremmo muovere una critica a questi magi: si può lasciare casa e famiglia per seguire una stella?

La sapienza di questi Magi forse sta proprio nel sapere cogliere ciò che li circonda non come sterile dato, ma come fonte di sapienza per comprendere cosa sta accadendo intorno a loro. Dopo aver lasciato il palazzo di Erode, che svia le loro ricerche, essi vedono la stessa e «provarono una gioia grandissima»: amiamo la meta, ma ancora di più i segni che ad essa ci conducono.

Vien da chiedersi: a quale stella ci affidiamo? Quale indicazione guida i nostri passi, ci spinge a compiere il viaggio della vita? Al coraggio, all’ostinazione e alla determinazione dei magi, i veri cercatori inconsapevoli di Dio, si oppongono tragicamente i capi dei sacerdoti e degli scribi di Gerusalemme, i quali conoscono a memoria le Scritture (e non per modo di dire), hanno il Figlio di Dio sotto il naso ma faticano a vederlo: il loro sguardo è incapace di elevarsi oltre le sterili tradizioni e le tramandate aspettative. Il frutto è la confusione che cade tragicamente su tutta Gerusalemme: «Il mondo non morirà mai di fame per la mancanza di meraviglie, quanto per la mancanza di meraviglia» diceva Chesterton.

È in fondo un monito per noi, cercatori di Dio: non basta sapere tante cose, aver letto molti libri o avere tanti titoli accademici, fossero pure in teologia; è necessaria l’arte di sapersi meravigliare e di lasciarsi guidare da ciò che ci conduce altrove. Non basta semplicemente avere nozioni; bisogna uscire dai palazzi del potere, dalla maestà del Tempio per mettersi in cammino e compiere un incontro. «Non è il molto sapere che sazia l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente», ammoniva S. Ignazio di Loyola all’inizio dei suoi Esercizi Spirituali.

In cammino: verso dove? Verso un luogo inaspettato, imprevedibile. Immaginate la delusione: parto per trovare un re, trovo un bambino con una famiglia più che ordinaria. Se non siamo aperti alle sorprese di Dio, Egli non farà altro che deluderci. E se sei deluso da Dio, forse non sei mai uscito da te («Vattene dalla tua terra, dalla casa di tuo padre!...e Abramo partì» (Gen 12,1-4), così nasce la fede, da un viaggio). «Ci è stato dato un Figlio», abbiamo ascoltato dal profeta Isaia la notte di Natale. Il risultato della nostra ricerca è un bimbo, che non ha una sapienza umana da comunicarci, ma un incontro che apre all’adorazione.

Un’antica leggenda russa narra che un quarto re magio partì con i tre, ma si perse e arrivò 33 anni dopo a Gerusalemme, al momento della crocifissione; è sapienza degli antichi dei nostri borghi chiamare questa festa “pasquetta”, e non a caso. Il Crocifisso è come quel bambino: non cerca sapienza, ha poco da dirti, desidera incontrarti, desidera che tu riparti «per un’altra strada», facendo ritorno a casa. Lì si compirà la salvezza che ti ha donato il bambino crocifisso.

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