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LA CAMPANA ELETTORALE SUONA ANCHE PER NOI

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Abbiamo imparato che i sindacalisti devono sapere ragionare a mente fredda. Ma non sempre ce lo possiamo permettere. E intanto che la ''botta elettorale'' è ancora calda, sarà bene che da subito il sindacato prenda le misure con il paese diverso che le urne hanno svelato e con ciò che riguarda il mondo del lavoro e la sua rappresentanza. Diciamo subito che il risultato elettorale apre una sfida vera e definitiva al sindacalismo confederale italiano, che noi dobbiamo saper interpretare con lucidità, strategia ed un po' di umiltà. Dal punto di vista sociale il risultato elettorale sembra svelarci un'Italia più semplificata e dai nuovi rapporti di forza. Il voto degli italiani è sempre meno legato ai valori o alle idee, cerca più di prima risposte alle paure, bisogni e disagi, magari individuali, ma in ogni caso concreti. La destra ha saputo meglio intercettare e rappresentare questo. Non solo al nord, ma al nord in modo particolare. I risultati elettorali nel nord stupiscono solo nei titoli dei giornali. Non è vero che solo oggi operai e pensionati hanno riversato il voto verso la Lega o il Pdl. Hanno cominciato vent'anni fa. Oggi invece la Lega completa il proprio progetto di forza popolare ed interclassista (la nuova Dc del nord), capace di interpretare bisogni e problemi, lontana dalle origini secessioniste e sempre più dentro il territorio e la realtà. La Lega e la destra hanno valori e propongono riferimenti ben diversi dai nostri. Ma i lavoratori ci confrontano non più su questi ma sui loro problemi concreti e sulle capacità di risposta. Non servono quindi nuove demonizzazioni. Il mondo del lavoro non è più un monopolio della cultura sindacale. Nel tessuto infinito delle piccole imprese è la Lega oggi a rappresentare quel mondo reale, dove la contrapposizione tra capitale e lavoro è sconosciuta, dove i comuni interessi sono insidiati dall'esterno (da qui le loro prese di posizione su globalizzazione, infrastrutture, Tfr, detassazione straordinari). Sono anni che troviamo spesso i rappresentanti della Lega vicini ai lavoratori (ed anche alle imprese) nei processi di ristrutturazione e nelle crisi occupazionali che gestiamo. Non per fare presenza o comunicati stampa, ma per rappresentare gli interessi della gente. La Lega, e forse da oggi tutta la nuova maggioranza, si propone di rappresentare con chiavi diverse dalle nostre, ma con grande adesione alla realtà, i problemi del lavoro e l'economia. Non hanno bisogno di puntare su un loro sindacato (il Sinpa continua ad essere inesistente): vogliono pensarci loro. Da qui la sfida che ci riguarda e che il sindacato non può interpretare con superiorità, rivendicando una egemonia che nessuno ci darà più in modo scontato. Il sindacalismo italiano, a differenza di quello degli altri paesi europei, è meno forte nella rappresentanza verticale di categoria ed è invece più forte sul piano confederale della concertazione. Questo punto di forza rischia di diventare un vero tallone d'Achille in questa stagione, poiché ci espone di più sul terreno della rappresentanza sociale. Per questo occuparci oggi di nuove regole sulla rappresentanza sindacale deve essere una priorità del sindacato. Non intendiamo fare previsioni, ma crediamo che la nuova stagione politica e sindacale che abbiamo davanti non sarà una riedizione della stagione del precedente governo Berlusconi, anche verso i temi del lavoro ed il sindacato. L'alternativa che avremo di fronte forse non sarà tra accordi separati o accordi unitari come ai tempi del Patto per l'Italia. Rischia di essere tra accordi sindacali o provvedimenti presi in favore dei lavoratori e dei pensionati direttamente dal governo. Come è stato, solo 3 mesi fa, per il contratto dei metalmeccanici, ripreso per i capelli ai tempi supplementari di fronte alla minaccia di aumenti salariali unilaterali, mentre la categoria si dissanguava in scioperi poco partecipati e blocchi delle autostrade disperati. Imprenditori e lavoratori sanno apprezzare il lavoro concreto che il sindacato italiano produce quando sa rappresentare i problemi e dare soluzioni. Non sopportano più le liturgie negoziali, il tatticismo politico-sindacale, gli scioperi a prescindere che ancora troppo caratterizzano la contrattazione. Scavalcarci, metterci in fuorigioco (e non attaccarci di petto) sarà forse la peggiore insidia che dovremo affrontare. Non basterà continuare a consumare la suola delle scarpe come qualcuno di noi fa tutti i giorni nel rappresentare i metalmeccanici. Conterà avere un nuovo ruolo per non diventare l'epicentro di un nuovo terremoto. Non si tratta di dir di sì a proposte sbagliate del nuovo governo. Si tratta di far passare le nostre idee su un terreno diverso. I prossimi 100 giorni saranno già molto indicativi. Decisiva diventa una rapida ripresa di azione unitaria. Bene hanno fatto i sindacati Confederali ad investire fortemente in questa fase sul versante unitario. Ma ora occorre che l'unità sia produttiva e ricca di nuovi disponibilità. Non possono essere pensabili altri 5 anni di non accordi. Il sindacato deve sapere che i buchi neri della politica hanno già inghiottito molta parte della sinistra e che il sindacato rischia la stessa fine. Resista alla tentazione di chiudersi nel proprio fortino. Siamo quindi costretti a procedere verso la realtà. Se l'unità sindacale si trasformerà in una ennesima paralisi (come troppo spesso ultimamente), rischieremo tutti. Forse la destra vuole individuarci come un problema; sta a noi dimostrare al paese, di nuovo, che siamo una soluzione. Saluti Angelo Angelucci
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