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“Sono entrato nell'arma animato da un profondo sentimento di giustizia”

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Dietro la divisa ci sono degli uomini che vivono giorno per giorno questa scelta di vita e che nella maggior parte dei casi li accompagna anche quando smettono di indossarla. Di seguito l’intervista al maggiore Amedeo Consales, il comandante della Compagnia Carabinieri di Vasto, insediatosi il 12 settembre del 2017.

Perché ha scelto di entrare nell’Arma dei Carabinieri?

È una scelta che ho maturato nella città in cui sono cresciuto, Napoli, una città bellissima, ospitale e affascinante, ma complessa. I reati contro il patrimonio e la presenza documentata della criminalità organizzata hanno, purtroppo, reso il capoluogo campano difficile da vivere nel quotidiano. Sono cresciuto al Vomero, un quartiere borghese... abitavo nei pressi di dove è stato ammazzato Giancarlo Siani, un giovane giornalista d’inchiesta di camorra. All’epoca avevo 13 anni e quel caso fece molto scalpore anche tra noi ragazzini. All'epoca il tema della legalità non era diffusissimo sui banchi di scuola ma quell'omicidio scatenò una serie di manifestazioni studentesche ed iniziai ad avere curiosità verso il mondo degli apparati istituzionali impegnati nel contrasto alla criminalità. La mia scuola si trovava vicino alla caserma dei carabinieri e spesso incontravo il comandante di stazione, il Maresciallo Iarba, figura molto carismatica che mi ricordava il classico carabiniere dei film di De Sica, un padre di famiglia in grado di riscuotere l'ammirazione e la stima della gente per bene. La mia famiglia mi ha trasmesso il valore del rispetto delle regole e degli altri. Naturalmente tra le conoscenze adolescenziali ci sono stati anche amici che hanno intrapreso percorsi diversi. A 19 anni ho maturato l’idea di entrare nell’Arma dei Carabinieri e di lì a breve sono entrato nella “Scuola allievi sottufficiali carabinieri” di Velletri.

Ricorda ancora cosa ha provato il giorno in cui ha indossato la divisa?

Una grandissima emozione soprattutto quando durante il giuramento nel 1994 abbiamo intonato l’inno d’Italia. Tuttora, ogni volta che lo sento, continuo a provare un fortissimo senso di appartenenza. Ricordo che mio padre mi disse: “ora che hai fatto questa scelta di vita, fa' che questo sia un punto di partenza e non di arrivo”. Una frase che ricordo ancora a distanza di quasi 25 anni e che mi è servita come stimolo per crescere professionalmente. Con il fondamentale supporto di mia moglie Claudia, ho proseguito a fare concorsi interni ben consapevole che sarei stato soggetto a frequenti trasferimenti con evidenti consequienzali disagi per tutta la famiglia. 

Quali sono le esperienze che più l’hanno segnata e di questo lavoro cosa l’ha più formata?

Durante la mia carriera militare ho girato non solo l’Italia ma anche i paesi esteri e in ogni luogo in cui sono stato ho imparato qualcosa di nuovo. In particolare durante la mia missione Onu di consulente della polizia locale in Bosnia, ebbi modo di confrontarmi con colleghi di tutto il mondo. Ma di sicuro l’attività che più ho amato e più amo è l’attività investigativa all’interno dei Nuclei Operativi in cui spesso si lavora in incognita e in borghese. Per quanto sia a volte un lavoro svolto prevalentemente dietro le quinte, credo possa dare grandi soddisfazioni. Ovviamente ogni caso è a sè; a volte occorre fantasia e creatività per cercare di stare al passo e trovare un guizzo investigativo risolutivo.

Nella sua ricca carriera militare in cui ha avuto a che fare con omicidi e criminalità organizzata c’è un caso che l’ha turbata profondamente?

Ricordo in particolare l'omicidio di Stella Costa, una ragazzina di 12 anni di San Severo che fu colpita per sbaglio durante una sparatoria per un regolamento di conti. Indelebile il dolore composto della madre, le stringeva la mano, stavano andando a buttare la spazzatura.

Ha mai avuto paura per la sua incolumità? Ha mai avuto rimorsi per questa scelta di vita?

La paura è un sentimento naturale. Va gestita ma tiene il livello di guardia alto. Un episodio piuttosto recente quando ero in Romagna, il caso del “terrore ai romiti”. Ero dietro una porta con l’occhio allo spioncino per dare indicazioni utili ai colleghi su un uomo che esplodeva alcuni colpi contro quella porta con una 357 magnum perchè voleva entrare e sparare all’ex socio di affari che l'aveva truffato. Sono esperienze forti che ti segnano ma stare dalla parte della Legge paga sempre. Mai avuto rimorsi sulla mia scelta professionale.

In base alla sua esperienza quali possono essere i principali deterrenti per lo sviluppo della criminalità in un territorio?

Innanzitutto un’educazione al rispetto delle regole e della legalità che dovrebbe partire già dall’asilo. Bisognerebbe ripristinare l’insegnamento dell’educazione civica già dalle elementari. Ed è importantissimo che tutte le forze dell’ordine, le istituzioni e i cittadini facciano fronte comune e alimentino la diffusione di una cultura del rispetto delle regole e degli altri. Ritengo che la teoria criminologica della “finestra rotta” (capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità) possa essere applicata con successo anche nel nostro territorio. Le racconto un piccolo episodio che forse sintetizza meglio il concetto. Quando fui trasferito dalla provincia di Napoli ad Ascoli Piceno, 
mio figlio aveva sette anni e notando qualcosa a lui meno familiare, mi chiese: “papà perché qui i motociclisti si allacciano il casco?”. 
Vorrei, come tutte le persone per bene, che ci fossero meno garanzie per chi delinque e più tutela per i cittadini onesti. Purtroppo ci sono dinamiche che sfuggono ai non addetti ai lavori ed un quadro normativo che non sempre riesce a dare le risposte che ci si aspetta.

Ai giovani che si approcciano a questa carriera cosa si sente di dire?

Questo non è un lavoro che puoi fare pensando che si tratti di un mero posto fisso. Lo puoi fare solo se lo vivi come una missione, se non è così lascia perdere. I sacrifici sono tantissimi ma il ringraziamento di una persona a cui sei stata utile ti ripaga di tutto.
 

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