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Paolo Di Santo: “Non ti preoccupare anche dopo io ci sarò”

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Ultimamente, anche qui in zona, si comincia a parlare di “Economia di Comunione” una corrente socio- economico-culturale che pone al centro degli obiettivi aziendali “la persona” e per la quale i profitti divengono uno strumento per soddisfare i bisogni dell’individuo: l’economia per l’uomo e non l’uomo per l’economia. Qui a San Salvo è vissuto un uomo, (venuto a mancare il 17 ottobre del 2016 giorno del compimento del suo 70esimo compleanno) che è stato un imprenditore di successo che aveva nel Dna questo modo di concepire la sua azienda e che ha dato lavoro a diverse famiglie. La figlia Tina racconta che la mattina guardando negli occhi i suoi dipendenti riusciva a capire se c’era qualcosa che non andava e se poteva cercava di aiutarli. Di seguito l’intervista a Tina Di santo su chi era Paolo Di Santo.

Il 5 gennaio del 2019 la vostra azienda ha compiuto 50 anni di attività, ma chi era suo padre e come è arrivato a costruire questa bella realtà?

È nato il 17 ottobre del 1946 da genitori entrambi vastesi, Giuseppe Di Santo e Annunziata Regia Corte ed era l’ultimo di dieci figli. I miei nonni avevano del terreno ma per mantenere questa famiglia così numerosa nonno Giuseppe andava a lavorare nelle miniere in Germania. Quando stava per nascere un figlio calcolava le lune e cercava di esserci sempre per il lieto evento. Mio padre mi raccontava sempre che il suo papà era molto rigido anche se i suoi primi ricordi di lui risalivano a quando aveva 3 anni. Fin dalla più tenera età papà andava a pascere le pecore di famiglia. Negli anni ’60 nonno Giuseppe aveva aperto a Vasto Marina l’Enal una sorta di negozio di alimentari con annesso bar e ristorante. Ma a papà quell’attività non piaceva e così a 12 anni ha cominciato a sperimentare vari lavori, prima quello del muratore, poi fornaio e infine elettrauto. A 18 anni è andato a lavorare in Australia, dove già c’erano fratelli e sorelle già sposati e inseriti. Di giorno lavorava presso un elettrauto e la mattina presto andava consegnando il pane di un forno per la città. La sua più grande difficoltà per lui era la lingua. Dopo un po’ pensò di trasferirsi in un'altra città dove c’erano altri fratelli e anche più italiani proprio per il cruccio della lingua. Ma poi è tornato in Tasmania, la prima città dove era stato, perché lì si era sentito più accolto. Nel novembre del 1968 è tornato in Italia per una promessa fatta al padre. Subito si attrezzò per aprire una sua officina di elettrauto qui a San Salvo anche se il padre voleva che l’avviasse a Vasto, nella loro città. Papà aveva intuito che San Salvo era un paese in crescita e infatti nel tempo la sua è rivelata una scelta davvero cruciale. Aprì la sua prima officina in corso Garibaldi e 1° dicembre del 1969 era già nelle condizioni di poter assumere il suo primo operaio. Nel 1972 ha trasferito l’attività nella zona industriale.

Come marito e come papà com’era?

Era un uomo davvero meraviglioso. Il 1969 per lui era stato un anno davvero cruciale. Oltre ad aprire l’officina, aveva rincontrata una ragazza che conosceva di vista da bambina e di cui poi si è innamorato, Maria Tana. Il 12 aprile si sono fidanzati ufficialmente e il 12 ottobre si sono sposati. Da questo matrimonio siamo nati io e mio fratello Giuseppe. Finché eravamo piccoli mamma pensava solo a noi, poi ha cominciato a lavorare in officina, occupandosi di amministrazione. In 45 anni che sono stati sposati non hanno mai litigato, nutrivano l'uno per l'altro un rispetto e un amore incredibile. Se qualche volta papà era in difficoltà o era nervoso mamma si poneva sempre in un atteggiamento di aiuto e di comprensione. Papà trascorreva a lavoro tantissime ore e spesso neanche lo vedevamo. Un giorno mi ricordo che avevo soli 3 anni, presi il telefono lo chiamai e gli dissi “papà stasera torni prima che vado a letto?”. Quel giorno fece i salti mortali per tornare a casa prima che mi addormentassi e dopo di allora cercò anche di essere più presente in famiglia. Papà già ci immaginava in officina: io mi dovevo occupare di amministrazione e mio fratello degli aspetti gestionali. Quando cominciammo a essere grandicelli ci portava nel capannone e ci coinvolgeva in tutti i settori dell’attività. A 15 anni mio fratello purtroppo si è ammalato di leucemia e, dopo 5 anni, il 6 agosto del 1992 è venuto a mancare. Questa perdita ci ha segnati profondamente.

Cosa lo caratterizzava e c’era qualcosa che diceva sempre?

Papà è sempre stato un uomo lungimirante e diceva “Io devo fare quello che gli altri non fanno e/o prima degli altri”. Sapeva apprezzare tutte le persone con cui aveva a che fare. Dall’età di 57 anni ha cominciato ad avere diversi problemi di salute anche importanti ma cercava sempre di viverli con molta serenità ed era sempre lui che dava coraggio a noi. Invece con l’ultima volta anziché dare coraggio dava raccomandazioni a tutti. A me diceva “Non ti preoccupare io ci sarò sempre”. Infatti io me lo sento davvero vicino e spesso lo nomino.

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