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"Un Re che ama"

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L'ultima domenica del tempo ordinario coincide con la solennità di Cristo Re dell'universo. La ragione di questa festa, oltre ai motivi storici che nel 1925 hanno spinto Papa Pio XI  ad istituirla,  è da ricercare soprattutto nella giusta conclusione dell'anno liturgico.  Un anno,  che iniziando con la prima domenica di Avvento, ci ha fatto ripercorrere i misteri della nostra salvezza a partire dalla incarnazione del Verbo fino a celebrarne il culmine nel Triduo Pasquale. 

La parola di Dio di oggi attraverso il profeta Ezechiele ci presenta un modo tutto particolare da parte del Signore di essere re. Egli è un Re-Pastore. La similitudine del pastore è spesso ricorrente nelle Sacre Scritture per indicare la cura con cui Dio si rivolge al suo popolo.  Per un pastore, infatti, non vi è nulla di più importante delle pecore: potremmo dire che le pecore sono la ragione della sua vita. Ezechiele ci dice come il Signore si prenda cura  di tutte le pecore che formano il suo gregge.

Ad ognuno Dio rivolge le sue attenzioni sulla base della situazione di vita. Ezechiele afferma che Dio si prenderà cura della pecora  malata, della pecora ferita così come di quella grassa e di quella forte.  Il Salmo 22 costituisce una risposta da parte nostra. L'autore, tradizionalmente identificato con il re Davide, sente di innalzare a Dio un inno di lode. Proclama infatti la sua gioia nel riconoscersi al sicuro poiché il Signore è il "suo pastore" un pastore che guida le sue pecore su pascoli erbosi. Teniamo presente che in Israele, terra tendenzialmente arida, di pascoli erbosi ne esistevano ben pochi. E' significativa anche la frase dove viene detto "pur se andassi per Valle oscura non temerei alcun male perché tu sei con me".

Mi chiedo: "Dio ci guida per valli oscure?". O forse siamo noi, con la nostra testardaggine, a voler andare per strade diverse da quelle che Dio ci propone?  Davide, attraverso il Salmo si proclama sicuro perché anche in una valle oscura non c'è da temere alcun male poiché il pastore va alla ricerca anche di queste pecorelle "testarde"; pecorelle che magari, uscendo dal sentiero, si sono sporcate, si sono ferite, sono affamate. 

Questa è la regalità che Cristo esercita nella storia  della salvezza  intesa  in modo generale, così come in quella personale di ciascuno.  E' la stessa Signorìa  della quale parla san Paolo nella lettera ai Corinzi: "bisogna infatti che Egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi". Il Signore regna, il Signore vince, il Signore sconfigge il male e il peccato.

Ma in questa lotta siamo chiamati ad essere anche noi, con lui, dei protagonisti. Cristo ha già vinto ma dobbiamo ogni giorno aprire cuore e mente per permettere a lui di vincere anche nella nostra vita.

Il testo del Vangelo di Matteo esprime un ulteriore modo  attraverso  cui  il Signore esercita la sua regalità: è il giudizio. Dal Signore noi siamo (e saremo anche alla fine) giudicati sull'Amore. Un confronto costante con queste parole non esprime da parte di Cristo  la volontà di mortificarci, bensì quella di mettere in evidenza nella nostra vita ciò che costituisce il pericolo di farci chiudere in una vita sola, egoista, bruciata e depressa.  Del resto, un medico che non evidenzia la patologia del paziente, gli fa solo del male. L'insieme di giustizia e misericordia, nel linguaggio biblico, connotano la volontà di salvezza con cui Dio, infinitamente buono, porta l'uomo a riconoscere il suo peccato, il suo limite, e quindi a curarlo, riversando su di lui tenerezza e pace.

(XXXIV domenica del T.O. Solennità di Cristo Re dell'Universo)

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