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Una fede sincera e serena richiede la “purificazione del cuore”

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Dopo il lungo discorso sul pane di vita (Gv 6) che ha occupato le domeniche d’agosto, la liturgia riprende il suo cammino in compagnia dell’evangelista Marco. Il brano che oggi ci viene proposto segue il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, per cui non ci discostiamo molto dagli argomenti trattati in queste domeniche.

Gesù e i suoi discepoli entrano in evidente contrasto con le regole e le tradizioni del popolo d’Israele. I maestri e i sacerdoti, nel corso dei secoli, avevano codificato le norme scritte e orali della tradizione ebraica e della Scrittura, fino ad ottenere 613 precetti che il pio israelita avrebbe dovuto rispettare. Sempre nella tradizione ebraica, al pari di altri culti, si registrava la divisione tra ciò che era puro e ciò che era impuro, dando origine ad altre tradizione di cui oggi l’evangelista fa menzione. 

In altri episodi Gesù afferma che la tradizione non va accantonata ma superata, interiorizzata, trasformata. Gesù difatti non sta proponendo una via breve o una soluzione più facile, ma sta alzando il livello: Egli non chiede di fare qualcosa, ma di convertire il cuore.
Il rischio in cui erano incorsi gli israeliti e che d’altronde è il rischio in cui incorrono quanti confondono fede e norme religiose è di pensare che, assolti tutti gli obblighi tradizionali, formali ed esteriori, siamo “in regola” agli occhi di Dio e degli uomini.

Il risultato di questa mentalità è la separazione pratica tra il culto esteriore e il cuore (che nella Bibbia è il simbolo del luogo dove l’uomo esprime e conosce se stesso). Quando vediamo nei telegiornali che nei covi dei mafiosi spopolano le immaginette sacre, ripensiamo a questa funesta distinzione. Stiamo attenti anche al linguaggio: partecipare all’eucarestia in modo abituale, formale, per assolvere un precetto o, peggio ancora, parteciparvi in quanto “cerimonia”, “funzione”, “rito”è quanto di più distante ci sia dalla vita nuova che in Cristo ci è stata donata.

Perciò Gesù compie uno “spostamento” straordinario: sposta la causa dell’impurità (ossia del peccato) dall’esterno dell’uomo all’interiorità. Chi d’ora in avanti vorrà rispettare la vera tradizione, chi vorrà offrire a Dio un culto spirituale, dovrà partire dall’interiorità e non dall’esteriorità.

L’esame di coscienza non è la ragioneria dell’anima, ma è mettersi di fronte ai propri atti e chiedersi: perché ho agito così? Perché ho fatto questo? Qual è il mio fine, il mio scopo?

Ogni cristiano che vuole vivere seriamente e serenamente la propria fede dovrà percorrere la via della “purificazione del cuore” che i Padri della Chiesa e gli asceti ci hanno indicato. Solo così il nostro culto esteriore sarà ad immagine del sacrificio del cuore, solo così sfuggiremo all’appellativo di Gesù, uno dei più terribili, alla parola che in greco viene utilizzata per indicare la maschera dell’attore teatrale: “ipocriti”.

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