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Paola e la mia infinita fragilità

Storie di vita

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Paola è una donna morta a soli 36 anni che ho conosciuto quando mi sono trasferita a Cupello. La vedevo sempre raggiungere San Salvo camminando.

La sua, era una storia non bella, fatta fondamentalmente di assenza di amore. 

Già da quando era nel grembo materno aveva conosciuto lo spettro della droga. Per i problemi di tossicodipendenza della mamma, Paola è stata affidata alla nonna, con la quale ha vissuto fino alla sua morte. Quasi come una beffa del destino, ha avuto lo stesso epilogo della mamma: anche lei è caduta nella trappola della droga, è morta in giovane età e ha lasciato una figlia piccola che ha bisogno di essere accudita e amata. 

Un giorno, superando i miei insensati timori, le ho dato un passaggio. Da una parte, il mondo di questa ragazza mi spaventava e, dall’altra, non avevo il coraggio di avere a che fare con una persona che aveva un bisogno disperato di aiuto. C’erano dei momenti in cui in lei vedevo tanta disperazione di fronte alla quale mi sentivo impotente e incapace di darle anche una sola parola di conforto. Riuscivo solo ad ascoltarla.

Da un paio d’anni aveva cominciato ad avere evidenti e grossi problemi alle gambe. Ogni tanto ci veniva a chiedere un passaggio per arrivare a Eurospin o a lidl, posti dove lei andava a chiedere l’elemosina. Me n'ero accorta per puro caso e lei, nel vedermi, cercava di nascondersi. Dopo questa scoperta, mi vergognavo ad accompagnarcela e cercavo di lasciarla qualche metro prima. 

Ad aprile scorso si era procurata una ferita alla mano. Per una ventina di giorni aveva  bisogno di prendere l’autobus per andare in ospedale a medicare la ferita. Ogni mattina, sapendo che dovevo accompagnare i bambini a scuola si fermava davanti casa mia per farsi dare un passaggio fino alla fermata dell’autobus. Non sempre le davo questi passaggi con amore e lei sensibile com’era, si accorgeva di questo mio disagio. Durante il tragitto in auto faccio recitare ai bambini qualche preghiera e Paola si associava volentieri a questo “rito di famiglia”. Amava molto l’Angelo di Dio, diceva che era una preghiera che non aveva mai sentito e mi chiese di scrivergliela su un foglietto. Ma me ne dimenticavo sempre! Un giorno mi trovavo in una libreria delle Paoline e ricordandomi di quella mia mancanza le presi un libricino con le preghiere più semplici. Glielo feci consegnare dai bambini. Ne fu felicissima e quando nei giorni successivi dovevamo recitare l’Angelo di Dio, con orgoglio usava quel libricino. 

Un paio di mesi fa i medici sono stati costretti ad amputarle la mano. Appena tornata dall’ospedale di San Giovanni Rotondo è passata a salutarci. All’inizio ne rimasi sconvolta ma poi pensai “non tutti i mali vengono per nuocere; di sicuro adesso almeno avrà una rendita”. Stranamente si poteva intravedere il lei un briciolo di serenità. Una parrucchiera le aveva anche tagliato i capelli gratuitamente. 

Aveva un accento del nord che le dava quasi un tono di persona distinta. Il suo volto mostrava più anni di quelli che aveva. Amava chiacchierare e a volte anche raccontare alcuni tristi episodi della sua vita. 

Adesso Paola ha raggiunto quell’amore senza fine.
 

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