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Il ritorno del figliol prodigo

Commento al vangelo

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In questa fresca domenica quasi autunnale, in un periodo in cui tutti sono tornati dalle ferie, in cui i ragazzi tornano a scuola; settembre: il mese dei ritorni. Quale occasione migliore per leggere una delle pagine più commoventi del Vangelo? Pagine che raccontano un ritorno.

La nostra vita può essere considerata un viaggio di ritorno a tutti gli effetti. Quando i nostri cari muoiono scriviamo (a torto o a ragione): “E’ tornato alla casa del padre…”. Ecco, torniamo dove siamo già stati. Torniamo a casa da colui, l’unico, che davvero ci attende. Ma andiamo per gradi.
Il vangelo di oggi si apre con una nota ambientale che nelle Scritture sacre non va mai sottovalutata; Gesù infatti è circondato da diverse categorie di persone: i pubblicani e i peccatori (che lo ascoltano) e dai farisei e dagli scribi (che mormorano scandalizzati perché Gesù fa quello che a suo tempo il Padre fece con i loro antenati: accoglie i peccatori, come ci narra la prima lettura).

Gesù racconta allora tre parabole, che sono le tre perle preziose del Vangelo di Luca. Nella prima una delle cento pecore si perde, e Gesù fa una domanda tutt’altro che retorica: “Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?”. Ecco al vera domanda: chi di noi farebbe questo? Suvvia, una su cento, che vuoi che sia! Non posso lasciare le altre! Questo è il ragionamento dell’uomo, ma non di Dio. Egli lascia tutto perché quella pecora, anonima rispetto alle cento, è troppo importante per essere persa.
Nella seconda parabola il numero si riduce drasticamente: di dieci monete, una è smarrita. Non solo la donna la cerca, ma lo fa in maniera accurata, mettendo tutto sotto sopra! Si può dire che le tenta tutte, pur di trovare un decimo della sua ricchezza.

La terza parabola è ormai notissima: “Un uomo aveva due figli”. Il numero si riduce al minimo. Sarebbe troppo lungo commentare ogni singolo passaggio (e parola) di questo racconto dalle mille sfaccettature. Rispetto alle altre due parabole ciò che impressiona è l’immobilismo del padre: egli non va alla ricerca del Figlio. Lo aspetta alla finestra, scruta da lontano la strada in attesa del suo ritorno, ma al contempo lo lascia libero di andare, di sperimentare altri luoghi, altri affetti, altre libertà. Ahimè, il figlio non troverà né libertà ne affetti, bensì porci, schiavitù e fame: il salario di chi allontana dal Padre. Disilludiamoci: il figlio torna per la fame.

Ha fame e si incammina verso casa, come uno schiavo qualsiasi.
Dov’è la novità di questi tre racconti, e specialmente dell’ultimo? A mio parere è la festa! Il ritorno è festa del cielo, degli angeli, di tutta la casata! Amici miei: Dio è così. Che tu ci sei o non ci sei non è indifferente: la tua presenza o la tua assenza fanno la differenza! Qualcuno ha detto che Dio sa contare solo fino ad uno… Quando il Figlio torna a casa, quando è la nostalgia di casa a condurlo dal padre, non immagina di trovare il Padre in attesa, pronto a vestirlo da re, a fare festa.

Quando torniamo a Dio Padre, quando sperimentiamo che il mondo non ci offre che carrube, porci e schiavitù, ci accorgiamo di essere accolti non come figli minori, servi, ma principi della nostra casa, condividendo la mensa con il Padre.
Mi piace pensare che il Figlio forse è andato via un’altra volta; le illusioni continuano a bussare alla nostra fragile immaginazione. Ma lui, il Padre, non esita a riaccogliere quel Figlio cosi scapestrato, ma tanto, tanto amato.
Lasciamoci stupire dalla misericordia divina, lasciamoci abbracciare dall’unico vero protagonista di queste parabole: il Padre.

P.s. Un’ottima rappresentazione della parabola del Padre misericordioso è rappresentata da un dipinto di Rembrandt; rimando per un commento accurato al seguente link: http://www.notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2694:dio-padre-amoroso-contemplando-la-tela-di-rembrandt

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