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Lo sguardo del passato - Parte prima

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Lucido. Tutto sembra così lucido sotto questa leggera pioggia autunnale avvolta dal buio della sera. Le insegne fluorescenti creano arcobaleni di colore sull'asfalto bagnato. Pochi i lampioni ancora funzionanti, come se stessero per soccombere tra le spire della notte. L'orologio della fermata del bus segna le 23 e 15. Ma Clark e Vanja sembrano non accorgersi di nulla all'interno dell'elegante auto parcheggiata, ormai da venti minuti, sul lato della strada. I vetri appannati impediscono loro di distrarsi dall'intima conversazione che stanno affrontando. ''Clark - dice Vanja chinando il capo in una profonda tristezza - è difficile anche per me capire cosa provo in realtà''. Vanja tace un istante. Il picchiettare della pioggia sul metallo dell'auto sembra voler sottolineare la sua angoscia. Un'angoscia cresciuta nel tempo. Ora Vanja tira un lungo sospiro, quasi per trovare il coraggio così a lungo mancato. Lucidi diventano anche i suoi occhi mentre si rivolgono verso Clark. ''Ho sempre creduto nel tuo amore. Me Io hai dimostrato in maniera indelebile. Ma in certi momenti sei così distante... come adesso, mentre parlo tu ti ostini soltanto ad ascoltarmi''. Clark non riesce a trovare il modo per smentire neanche questa volta le parole di Vanja. Ora è lui che china il capo ma sotto una pesante realtà che nuovamente gli piomba addosso. Stringe gli occhi per il dolore che prova e dentro di se maledice se stesso ed il suo passato. ''E' vero - risponde Clark risollevando lo sguardo e prendendole la mano - Forse sono un vigliacco. Forse non ho il coraggio di affrontare me stesso''. Il tono di Clark è sincero. E' quel tono che ha sempre conquistato Vanja e ispirato fiducia. ''Dio solo sa quanto è grande il mio desiderio di vivere con te... ma credo che tu abbia bisogno di più tempo per sincerarti di questo tuo desiderio, dei tuoi sentimenti nei miei confronti. Penso sia per il tuo bene''. Vanja non capisce. Non capisce come tutto ciò possa essere ''per il suo bene''. Un ultimo sguardo. Vanja esce dall'auto. Sembra non si renda conto che stia piovendo. Attraversa il marciapiede e raggiunge la porta di casa sua. Clark non può vederla: i finestrini dell'auto sono ancora appannati. Sente solo il cupo rumore del portone chiudere un'altra giornata. Non ci vuole molto perchè Clark torni alla sua villa. Non è molto grande ma è quella che ha sempre sognato, sobria ed elegante. Entrando non accende la luce. Lascia che i suoi passi siano guidati dal chiarore che attraversa le finestre. Getta l'impermeabile appena umido sulla sedia dell'ingresso. Si allenta la cravatta mentre lentamente si dirige verso la ''sua'' poltrona del soggiorno. E' stanco. Ma soprattutto deluso. Deluso perché, per l'ennesima volta, è stato causa di dolore. La sua mano scivola sul bracciolo della poltrona come fosse una carezza. Molte cose in questa casa parlano di 'lei'. Ripensa a come i gusti di Vanja abbiano potuto influenzare le sue scelte riguardo l'arredamento. Un angolo della sua bocca accenna ad un sorriso mentre i suoi occhi scorrono nel buoi le prove del suo amore per lei. A Vanja è sempre piaciuto l'azzurro; e questa poltrona è azzurra. Vanja è sempre stata attratta dal cristallo; e il piano del tavolo del soggiorno è di cristallo. E poi i quadri. Le piacciono i colori; le tele sulle pareti sembrano fatte per lei. Vanja, Vanja, Vanja. In fondo Clark sa di aver arredato la casa perché un giorno possa viverla con lei. E allora perché non riesce ad accettare l'idea di sposarla? E' piacevole lasciare vagare la mente a volte. Ora, Clark, sente proprio di doverlo fare. Gli occhi scorrono il buio tutt'intorno. Poi trovano l'immagine di lei e del suo sorriso. I suoi capelli neri e lunghi ondeggiano piacevolmente sulle sue spalle dando risalto alla sua allegria. La guarda per qualche minuto seduto sul suo scooter mentre lei scherza con le amiche sugli scalini dell'università. L'aria è ancora umida ma il sole sembra finalmente deciso a dar corpo ad una piacevole giornata primaverile. Clark si dirige verso l'ingresso. Le sta passando a fianco. Lei si sfila gli occhiali da sole mentre lo segue con lo sguardo. Potrei perdermi nei suoi occhi , pensa Clark. Scuri come la sua pelle, profondi come il desiderio. Voci di ogni genere accompagnano i ragazzi mentre entrano nel grande portone. Mentre percorre il lungo corridoio, l'attenzione di Clark è d'un tratto attirata da un bimbo che corre sfidando violentemente il flusso della rumorosa folla. E' da lui che sta correndo. Gli si lancia addosso aggrappandosi alla sua camicia. ''Digli di smettere!'' grida con la disperazione che non appartiene ad un bimbo. Come ad indicare qualcosa, il piccolo volta la testa indietro. Clark alza lo sguardo. La folla è sparita. Un silenzio spezzato solo dall'eco di due voci lontane. Il bimbo sta fissando un uomo ed una donna in cima ad una scala di legno. Ora il bimbo è davanti al camino seduto sul tappeto. Voltato di spalle sembra non rendersi più conto dell'animata discussione che continua ad echeggiare fastidiosamente. D'un tratto un enorme fiammata dal camino. Clark ha un incredibile sussulto. Sgrana gli occhi e da un respiro come se volesse urlare. Le pulsazioni sono veloci, il respiro affannato come se avesse corso per sfuggire al suo incubo che lo perseguita ormai da troppi anni. E' ancora lì, seduto nel suo salotto. La pioggia è aumentata d'intensità. Picchia violentemente sui vetri su cui scorre. I rami degli oleandri sono agitati con violenza dal vento. Le loro ombre proiettate sul pavimento sembra vogliano disegnare una danza isterica.
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