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Il mio terremoto

Il terremoto raccontato da uno studente sansalvese

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Giorni fa qualcuno mi chiedeva come mai uno come me, appassionato di meteorologia ed eventi naturali, avendo vissuto direttamente il terremoto de L’Aquila, non avesse ancora scritto un articolo riguardante ciò. Beh… è passato un mese e mezzo da quella terribile notte e sinceramente devo dire che finora non me la sono sentita di scrivere. Quello che abbiamo vissuto in quella che per noi studenti era la nostra città e la nostra quotidianità è stato qualcosa che non si può descrivere nè con un articolo, nè a parole, nè con le immagini mandate in tv. In un attimo sono crollate certezze, case, vite e progetti. Io ero lì. Tutto è iniziato la sera del 16 Gennaio quando ad un tratto abbiamo percepito come uno spostamento d’aria, la prima delle tante scossette che ci avrebbero fatto compagnia per mesi. Da quella data ho studiato tutto quello che si poteva sui terremoti, fino a diventarne quasi un esperto. Ricordo che mi documentavo e riportavo tutto su un forum scientifico, quello del meteogiornale, in una discussione aperta e portata avanti da me che è stata citata da giornali e trasmissioni televisive come “la storia del terremoto”. Rileggendo i messaggi di prima del 6 aprile su quel forum , si può vedere come in realtà nessuno volesse credere a questa eventualità, ma che tutti in fondo se lo aspettassero. Tutti, tranne quei grandi esperti che una settimana prima avevano escluso in una conferenza stampa, dopo una riunione della Commissione Grandi Rischi che quelle scossette potessero essere il preludio di qualcos’altro. Ricordo come fosse ora, che il resoconto di quella riunione aveva un unico scopo e cioè quello di affermare che i terremoti non si possono prevedere, l’unico obiettivo era screditare Giampaolo Giuliani, un ricercatore che da tempo sosteneva di essere in grado di prevedere terremoti attraverso lo studio di un gas chiamato radon (ne avevo parlato tempo prima in questo articolo: Errore. Riferimento a collegamento ipertestuale non valido.it/dblog/articolo.asp?articolo=65). Non vorrei fare polemiche in queste circostanze, ritengo, però, che sarebbe stato giusto che tali persone in quanto esperti, senza creare allarmismi nella popolazione, avrebbero potuto renderla consapevole che L’Aquila è situata in una zona sismica e visto che c’era uno sciame in atto, consigliare, ad esempio, di non chiudere a chiave le porte e tenere una torcia a portata di mano in modo da poter uscire celermente in caso di scossa. Di polemiche in effetti se ne potrebbero fare molte ma è meglio fermarsi qui. Il 5 aprile l’avevo trascorso a studiare nella sala studio in via XX settembre, di fronte alla casa dello studente. Alle 21 ero andato a mangiare nella mensa sotto la casa dello studente perché il giorno dopo avevo un esame e non volevo perder tempo tornando a casa. Il programma era di rimanere in sala studio fino alle 24. E’ presto detto che non andò così. Erano quasi le 23 ed eravamo usciti davanti la sala studio per una pausa quando sopraggiunse la prima scossa. Subito ho chiamato il mio coinquilino e siamo tornati a casa. Accendo il computer e come prima cosa guardo l’intensità della scossa ed i grafici del radon di Giuliani, notando una crescita. La cosa non mi preoccupò perché ero convinto che quella crescita fosse riferita alla scossa che c’era stata che comunque era di magnitudo 4 e quindi piuttosto forte. Io, in effetti, non sono un geologo, studio economia e quindi non potevo capire. L’unico rimorso che ho è quello di non aver chiamato Giuliani che magari mi avrebbe dato qualche dritta. Non lo feci perché erano tre mesi che lo sobissavo di domande e non volevo dargli noie visto che la scossa l’aveva fatta ormai. Dopo mezzanotte eravamo in casa io, il mio coinquilino e la sua ragazza e stavamo scherzando sul terremoto (come tutti facevano da mesi) quando ad un tratto arriva un’altra scossa, più debole della precedente, ma che ci fa precipitare comunque all’aperto. Da quel momento la ragazza del mio coinquilino ci obbligò ad andare a dormire in macchina. Devo dire che non eravamo molto d’accordo ma ci lasciammo convincere e da allora non finirò mai di ringraziarla. Usciti di casa ci siamo recati in piazza Duomo dove c’era molta gente ed alcuni amici. Restiamo un po’ li e ricordo che nei pressi della villa comunale verso l’1 sentii qualcosa che mi fece inquietare: sembrava giorno, gli uccelli cantavano tutti. Pensai che erano spaventati dalle scosse precedenti. Alle 2 siamo andati via da piazza Duomo passando con l’auto nei vicoletti rasi al suolo un’ ora più tardi. Ricordo come rimproverammo il mio amico che guidava, invitandolo a praticare strade più larghe. Siamo andati, quindi, nel parcheggio di un centro commerciale, nei pressi della stazione ferroviaria. Come tutti gli altri parcheggi era pieno di gente intimorita, che continuava ad arrivare fino alle 3. In macchina io ero sveglio, gli altri appena dormivano .… tutto ad un tratto la macchina si scuote un po’. Neanche il tempo di pensare che fosse un’altra scossetta che inizia l’inferno: strane luci, come lampi.. la macchina che sballottava da una parte e dall’altra come fosse una giostra . Cerco di aprire la porta e dopo qualche tentativo ce la faccio. Sceso dall’auto fatico a rimanere in piedi, vedo ancora fulmini, case che ballano in maniera spaventosa, il rumore dei cavi elettrici che si spezzavano, nuvole di polvere che si alzavano dal centro, buio rotto dalla luce degli incendi. Ancora si ballava che chiamo a casa prendendo per fortuna la linea al primo tentativo e li rassicuro. Rimango fermo per un po’ in preda a qualcosa che non avevo mai provato prima … il panico allo stato puro. Poi penso che i mezzi di soccorso della zona sanno dell’accaduto, allora compongo il numero della protezione civile di San Salvo di cui faccio parte. Al cellulare mi risponde Giacomo, il presidente, che stava dormendo. In maniera confusa gli dico di mandare quante ambulanze aveva, lui non capisce allora lo ripeto quasi urlando, gli dico che L’Aquila è un disastro e metto giù. Allora iniziano ad arrivare le macchine color grigio polvere piene di feriti. Sangue, polvere, la terra che tremava di continuo, sembrava uno di quei film catastrofici che pensi che non possano accadere, per lo meno non a te. Guardo L’Aquila, non riesco neanche a piangere, voglio andare a dare una mano, ma io che solitamente sono il primo ad accorrere … non ce la faccio. Nel parcheggio c’è un silenzio disarmante, mani sul capo, nessuno ci crede, tutti cercano di fare qualcosa, senza scenate, senza urla e con pianti silenziosi. Nel disastro . una lezione di dignità! Io spero di svegliarmi da un incubo ma niente … era la realtà. Chiamo gli amici, i cellulari non funzionano ed intanto arrivano altre scosse, si sentivano nuovi crolli. Aspettiamo impazientemente il giorno e con esso trovo il coraggio di avviarmi verso il disastro. Vedo una palazzina di fronte al tribunale alta 4-5 piani, ora ridotta a circa 2-3 metri di altezza. Le case intorno tutte lesionate e sventrate. Cerco di rendermi utile ma mi accorgo che sarei solo di intralcio, allora mi avvio verso Piazza D’Armi, uno dei punti di raccolta. Resto lì, senza parole per ore, poi mi dicono che c’è la possibilità di ripartire. Alle 17 arrivo a San Salvo. Penso che un’esperienza del genere non si possa dimenticare facilmente, ci sono migliaia di persone che oltre alla casa hanno perso un traguardo o per lo meno se ne devono dare di nuovi. Lì c’era la quotidianità di molti studenti, ora siamo tutti in giro, spaesati. In facoltà, o meglio nelle tende, la sensazione che si prova è quella delle formiche che si muovono nervose e cercano di porre rimedio dopo che gli viene distrutto il formicaio. Vallo a spiegare che lì si studiava meglio, che quella era casa nostra, che gli studenti erano parte integrante di una comunità, che come me molti si sentivano aquilani e che ci piange il cuore a veder tutto questo, compresi quegli sciacalli che stanno cercando di rubare attività che sono l’unica possibilità di rinascita per il capoluogo. Non ho parlato finora delle vittime, molti erano studenti come me. Beh… che dire .. forse molti li conoscevo ma non ancora ho il coraggio di guardare tutte quelle foto e anzi, non le guarderò. Preferisco non sapere chi siano e magari se li conoscevo ricordarli da vivi. Se potessi però farei una cosa: farei in modo che in ogni corso di laurea di ingegneria o architettura ci fosse un esame che come programma avesse solo delle immagini, quelle dei corpi straziati dalla caduta di un edificio. Le stesse immagini che metterei nei cantieri per ricordare a chi realizza l’opera cosa potrebbe provocare ad esempio una staffa non messa o messa male.
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