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Alla scoperta dei 'giardinetti poveri': l'ecosistema del vicolo

Un viaggio tra le usanze che si stanno perdendo

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Percorrere le viuzze dei paesini, non è mai una semplice passeggiata o una curiosità turistica 'mordi e fuggi'. In un vicolo si cerca sempre la full immersion nell’Invisibile e - come Pollicino - lasciare tracce per segnare il sentiero: una briciola di quà un altra di là, per proseguire con sicurezza verso il… ritorno/nuova/partenza.

'segnapercorso' sono elementi semplici e… di semplice identificazione: una lanterna - dei vasi di fiori e erbette povere - una fontanella in bronzo - dei gatti che inarcano il dorso - una tendina di pizzo antico alla finestra – le armonie cromatiche delle mura antiche - un arco di passaggio in penombra... con finale di luce - una, due, tre seggiole impagliate disposte a cerchio - porte con battenti di bronzo con arco e chiave di volta - una rosa rampicante audace - una chiesetta sconsacrata... tutte 'penombre' di vivida luce.

Le lanterne, che ora rischiarano di notte gradini sconnessi e abbandonati, solo... qualche tempo fa davano luce ai piedi degli uomini che tornavano a casa dopo il lavoro, dove la sposa e i bambini li attendevano per la festa del ritorno serale. Il passo sfiora con il timore di chi ha paura di far male ai tanti 'giardinetti poveri' che, distanziati solo da pochi gradini, innalzano ancora il piccolo/gran pavese dei loro colori e profumi, segno della voglia di vivere e della tenerezza dei pochi che sono rimasti.

In tutti i nostri paesini non vi è un piccolo spazio che non sia 'ingentilito' da uno di essi. Vi sono anche angoli suggestivi in borghi antichi ma... ricchi, dove tutto è curato, tutto è benessere. In alcuni di essi, si vedono gerani enormi e petunie multicolori, offrirsi quasi con 'sfacciataggine' agli occhi dei passanti in preziosi vasi di terracotta. Qui, in questa terra povera, si vedono piccoli garofani speziati, ciuffi di profumato e timido basilico, qualche piccola pianta grassa, qualche geranio, un po’ di prezzemolo, salvia e rosmarino che coabitano nello stesso contenitore. Il tutto 'rigorosamente' messo a dimora in vecchi recipienti di latta di varie dimensioni. Dal contenitore di sardine alle scatole di fagioli, dai vecchi secchi di stagno alle bagnarole di alluminio. Essi, poggiati su un gradino, un angolo di marciapiede, un terrazzino, trasmettono una segreta gioia domestica. Sono piccoli sprazzi di luce che si prolungano dalla serenità delle case.

Le fontanelle in bronzo gocciolano ancora qualche stilla d’acqua che cadenzano il vivo silenzio. Una volta, erano luoghi privilegiati d’incontro dove le donne attingevano acqua, i passanti si dissetavano senza timore di essere intossicati, gli uomini giocavano una partita a carte mannaggiando i soliti santi e, per i giovani, era punto d’incontro dove si scambiavano giuramenti e la prima parola d’amore che, rossa di pudore, si tuffava nel bacile che raccoglie l’acqua per nascondere la sua emozione. Una promessa d’amore vicino all’acqua che scorre era sacra e sacralizzava anche la fontana. A volte, scherzosi schizzi volavano tra un volto e l’altro, seguito da scoppi di risa. Erano le benedizioni dell’Amore… all’amore. I gatti poi, sono eterni; un Vico senza gatti non è tale: i felini sono parte integrante del suo 'ecosistema'. Persino quando lo spopolamento li fa restare in compagnia di solo due anziani, essi aiutano a tenere accesa la piccola luce della vita del Vico che non vorrebbe spegnersi mai.
La tendina a uncinetto filet dietro il vetro è rigorosamente bianca: è l’abito nuziale della casa? Oppure il vestito del giorno delle nozze cui è stato ritagliato una parte eccedente per dire ai passanti: la nostra felicità non mai cambiata?

Le mura in pietre che sfumano dall’ocra al rosso sistemate in modo irregolare creano un armonia edilizia mirabile. Nessuna pietra è fuori posto e, la staticità, della casa pare sfidare i secoli nonostante il territorio sismico.
I Vichi sono raccordati tra loro da una misteriosa rete di archi e archetti che conducono a svolte improvvise e immergono in penombre dove per un attimo sembra sentirsi smarriti, ma per essere subito rassicurati da un fiotto di luce che illumina la piazzetta che ci si era appena lasciati alle spalle. Improvvise magie di ombre e luci che si alternano sembrano dirci che, 'lo smarrimento' nella vita può sempre sopraggiungere, ma 'la certezza' di Dio è sempre lì pronta a sorprenderci con puntuale fedeltà.

Nel Vico non mancano mai delle seggiole impagliate che accolgono: dialoghi di amicizia, lavori di ricamo, uncinetto, tombolo e tutto lo scambio culturale che le generazioni si sono tramandate nei secoli. Esse però - le seggiole - sono a rischio estinzione. Quando l’ultima persona anziana andrà a bussare alla porta del cielo dovrà portarla con se, perché, alle nuove generazioni la “cultura della seggiola” non interessa. Un giorno saremo giudicati anche per non aver saputo educare i nostri figli a conservare questo mondo profumato di bucato steso al sole.
Le porte poi, sono di una poesia unica, ognuna è un mistero appena velato. L’armonia della casa traspare anche dai suoi battenti in bronzo o dalle antiche maniglie. L’arco che le sormonta con lo stemma in pietra e la chiave di volta che rimanda a un antico dono… nuzialeFu la sposa che disse a lui: «voglio che la porta della nostra casa sia aggraziata anche se non siamo ricchi, ai garofani e ai gerani ci penso io, ma tu, costruiscimi una entrata degna di una... regina».

A tratti – nel Vico – sorprende la forza e l’audacia di una rosa rampicante campionessa di alpinismo, cui le fessure del muro offre gratis le fenditure d’appoggio per la scalata all’azzurro del cielo.

Dalle piazzette seminascoste ecco, all’improvviso, sorprendere una chiesetta con porta sbarrata, solo dalle fessure dei tavolacci che sbarrano, si riesce a intravedere un altare polveroso, qualche quadro di via Crucis, dei banchi rotti... una statua piena di ragnatele.

Una tristezza - quella della chiesetta - paradigma di tutte quelle dei paesi in stato di semiabbandono, ma che conserva tutte le fragranze dei luoghi di preghiera: antichi canti, rosari e petali di rose di maggio, lacrime e sorrisi, lumi accesi che rischiaravano anche la fame, la guerra, gli stenti, rintocchi tristi di campane a lutto e allegria dei din don a festa.
I Vichi dei paesini sono ancora abitati dalla nostalgia struggente di chi li ha amati, dagli affetti di chi vi è vissuto, e dalle miriadi di cose invisibili che parlano ancora ai rari passanti come ombre di viva luce.

NOTA BENE
Si è cercato di tradurre in parole le emozioni belle di un mondo in via di estinzione, ma non si può dimenticare la distanza che deve percorrere chi deve trovare un medico, la scuola, l’ufficio postale, la farmacia...
Quando vediamo - soprattutto la rassegnazione negli occhi dei pochi rimasti - la rabbia prende il posto della poesia. Cerchiamo il coraggio di denunciare con qualunque mezzo chi, con politiche dissennate, ha depredato tutte le ricchezze umane di questi luoghi: «dove siete ? Guardate cosa avete/abbiamo distrutto con la vostra/nostra scelleratezza !». Un giorno i nostri figli ci diranno: «avevate un mondo così e... non avete saputo conservarcelo».

Foto di Ines Montanaro scattate a:
San Salvo, Furci, Fresagrandinaria, Dogliola, Tufillo, Lentella, Palmoli, Casalincontrada, Scanno, Riccia, Trivento, Bagnoli sul Trigno, Portocannone

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