Ho sempre pensato che il dialetto sansalvese sia la nostra prima lingua. Lâitaliano viene dopo. Eâ inutile nascondercelo: quando parliamo in italiano abbiamo spesso difficoltà ad esprimerci, ma non perché siamo asini, ma perché mentalmente parliamo a âla salvanaseâ e poi traduciamo quello che dobbiamo dire nella lingua nazionale.
Quando andiamo allâestero poi, e dobbiamo parlare nella lingua del paese che ci ospita, facciamo la traduzione della traduzione, nel senso che pensiamo a âla salvanaseâ, traduciamo con la mente in italiano, e poi parliamo in inglese o in francese.
Da qualche giorno impazza su Facebook la nostra pagina locale del gruppo âSe sei di San Salvoâ.
Eâ a mio avviso una straordinaria piazza âSan Virtualeâ, un misto fra piazza San Vitale e virtuale, in cui con grande piacere ho potuto constatare, con lieta sorpresa, soprattutto tra i giovani, quanto sia vivo ed amato âlu salvanaseâ, il nostro dialetto.
Eâ addirittura entusiasmante, per non dire emozionante, vedere sopratutto come i ragazzi sansalvesi abbiano inscenato tra di loro una solidale gara dialettale, in cui tra detti popolari e modi di dire dâaltri tempi, si sono uniti in una sorta di comunione spirituale, che valica la stessa amicizia, sino a sfiorare il sentimento della fratellanza, sentendosi amorevolmente tutti figli del grembo di quellâunica mamma, che è la nostra San Salvo. Questo, per me sansalvese verace, ormai di una certa età , mi riempie di orgoglio, perché ciò significa che i nostri padri hanno ben seminato e che al di là delle diverse idee, condizioni sociali e divisioni politiche, si può ben sperare per la solidarietà e che siamo tutti uniti quando dobbiamo riaffermare le nostre radici e la nostra antica e vera identità .
âCanda è belle lu salvanase!â, scrive in un commento ad un post il mio caro amico Nicola Fanghella dalla Barcellona spagnola. Questo suo commento, passato apparentemente in silenzio, ha fatto un pò di chiasso nel mio cuore. Mi è parso un messaggio profondo, un silenzioso grido dâamore di un figlio lontano che, pur scegliendo di vivere in unâaltra nazione, non dimentica le proprie origini, dimostrando di quanto sia forte ed indissolubile il legame che lo unisce alla sua terra natia, un cordone ombelicale impossibile da recidere ("Oh Sante Salve belle, stinghe luntane da te, j notte e jurne chiagne, lu tempe ne passe pi me", scrive Leone Balduzzi nella sua canzone "Sante Salve belle").
Bravi ragazzi! Se il dialetto è lingua madre, siete tutti dei bravi figli.
Ho notato, tuttavia, che ogni tanto, però, vi è un pò di sana polemica campanilistica con i cugini vastesi e viceversa.
Sbirciando su Facebook e su come âSe sei di Vastoâ (giusto per vedere di nascosto, come diceva Jannacci, lâeffetto che fa), ha trovato sostegno una tesi che da tempo sostengo e precisamente: che il dialetto sansalvese è vivo, mentre quello vastese è un poâ moribondo.
Non me ne vogliano i cugini istoniensi, ai quali auguro tutto il bene del mondo, ma visitando la pagina âse sei di Vastoâ, ho notato che molti degli iscritti al gruppo parlano (scrivono) un dialetto che proprio vastese non è, mentre solo qualche purosangue racconta aneddoti e modi di dire nellâesatto idioma dei loro padri, dialetto che fu del grandissimo Luigi Anelli, che era nato a Vasto il 20 gebbraio del 1960, personaggio ecclettico, poliedrico, poeta, scrittore, musicista, storico, che scrisse, tra le sue tante opere âFujj'ammèsche", un vero capolavoro in vernacolo, celebre raccolta di sonetti in dialetto vastese.
Premesso che sono da sempre appassionato del dialetto vastese, spesso mi son chiesto: perché i giovani di San Salvo, pur se provenienti da famiglie con origini non indigene, parlano tutti perfettamente il dialetto salsalvese, con i medesimi accenti e le antiche fonie dei progenitori del luogo, mentre i giovani vastesi o almeno la gran parte di essi, non parlano più âlu vuastarèleâ degli antichi padri ed invece di dire, ad esempio, âlâhaj datte jaâ dicono âlâhai ditte jâ, oppure invece di dire âla curajaneâ dicono âla curajneâ, la âciammajacheâ la chiamano âla ciammajcheâ, âlâardacheâ-âlâardicheâ, âla lareâ- la lireâ, âcussuìâ â âcussùâ e âla sciammieâ - âla scimmieâ, scimmiottando in una specie di cupellese, risultando un vastese un po' âarzicucculujèteâ (tra i suoi vari significati: vestirsi con abito nuovo per apparire più di lusso).
Era uno spasso per me, sino a qualche anno addietro, fare finta di leggere le locandine dei giornali dinanzi alla rivendita/edicola di Di Lanciano in Corso de Parma a Vasto, davanti la quale mi fermavo solo per ascoltare dei simpatici anziani vastesi che parlavano âlu Uastarèleâ. A tal proposito guardatevi un pò, se qualcuno non l'avesse visto, il famosissimo video di RAI ITALIA in cui Francesco Paolo Zaccaria spiega come si prepara âLu brudatte a la uastareuleâ e forse mi direte che un poâ ci ho azzeccato.
Per me che sono innamorato di Vasto ed in più di una circostanza ho avuto modo di decantare le bellezze naturali, e non solo, di questa nostra incantevole località abruzzese, tra le più belle città dâItalia, un po' mi spiace.
Vasto è ricca di storia in ogni campo, anche e soprattutto in quello culturale. Da sansalvese di una certa età , vi mando virtualmente un post, anche se so già che mi attirerò dietro come minimo un sacco di critiche: âSe sei di San Salvo hai fatto sicuramente le scuole superiori a Vastoâ.
Eâ un vero peccato che stia accadendo questa mutazione fonetica del dialetto vastese. Eâ vero che la lingua è in continua evoluzione, ma io, se posso permettermi, consiglierei di far leggere nelle scuole, con la dizione autentica, le opere dialettali di Anelli, prima che sia troppo tardi e si perda il tradizionale idioma che è la vera identità di un popolo.
Tornando a Bomba, o meglio a San Salvo, o meglio ancora a âSe sei di San Salvo...â, nel senso che proprio una bomba è (questo lo dico non per farmi perdonare), concludo con i versi in dialetto abruzzese e non sansalvese (vi dirò unâaltra volta qualâè differenza), di una canzone di mio padre Evaristo Sparvieri del 1961 dal titolo âSopra âna cullineâ, dicendovi che non so se è lâaria, non so se il posto, non so se sono âli saggiccie e lu vine bone, chi vo campaâ da home, a qua sâha da firmà â.