'Il bosco e la città', storia di una ribellione

Antonia Schiavarelli
15/03/2015
Cultura
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Il 12 marzo è stato il 65° anniversario delle lotte per il bosco Motticce. Mi sono trovata per la prima volta a raccontare a mio figlio cosa accadde in quei giorni, perché un luogo dove non ci sono alberi ancora oggi viene chiamato bosco. Erano gli anni del dopoguerra, San Salvo era abitata da circa 4.000 persone. Era un piccolo borgo, che veniva definito dal dott. Camillo Artese, in una relazione alla prefettura “Il più lurido della provincia di Chieti, non per i suoi abitanti, ma per la cricca di banditi che la governava”. C’era una immensa povertà, c’erano pochi proprietari terrieri, molti braccianti, quelli che non riuscirono a partire, dovettero arrangiarsi come potevano.
San Salvo aveva una estensione territoriale molto piccola, di circa 800 ettari. Ma vi era un bosco, già in buona parte disboscato, soprattutto negli anni della guerra, per motivi bellici. Aveva una estensione di 150 ettari, un terreno molto fertile, proprio perché vicino al fiume. Vi crescevano in passato grandi querce, olmi, il paese vi raccoglieva legna per riscaldarsi e vi pascolava il bestiame.

Richieste di spartizione di quei terreni, vennero fatte in diversi lassi di tempo. Ma fu nel marzo del 1950 che la richiesta e la lotta si fece organizzata.
All’alba del 12 marzo del 1950, centinaia di sansalvesi, guidati da Luigi Ruggieri, Carlo Alberto Camicia, Sebastiano Napolitano, e alcuni sindacalisti, muniti di zappe e attrezzi da lavoro, arrivarono sui terreni del bosco e cominciarono i lavori di ripulitura, sembrò inizialmente una festa di paese, più che una occupazione. C’erano donne e bambini, inebriati dalla possibilità di avere un futuro migliore, “finalmente terra nostra da lavorare!”, ma nel pomeriggio vi furono i primi arresti. Molti, non intimoriti, rimasero durante la notte, vennero accesi dei fuochi, i ragazzini facevano la spola, correndo verso il paese che distava quattro chilometri. Il giorno successivo i carabinieri fecero nuovi arresti, ma la resistenza continuò. Il 14, arrivarono 600 carabinieri, che circondarono i manifestanti, fucili in mano. Fu grazie all’intervento di Bruno Corbi, parlamentare comunista che il peggio fu evitato. Parlò con il capitano dei carabinieri e promise il ritorno dei manifestanti alle proprie case. Così fù.
Furono 81 i denuciati, che negli anni vennero assolti. Il cammino della divisione dei terreni del bosco fu intrapreso in quei giorni di marzo del 1950. Nel 1958 si ebbe la divisione definitiva, 150 ettari divisi fra 133 contadini. Otto anni dopo.

Incontro il 12 marzo il professor Giovanni Artese, storico, che scrisse di quei giorni, della guerra, delle rivolte civili di cui i cittadini sansalvesi furono protagonisti nel passato. Gli ho chiesto quale insegnamento dovremmo trarre da quelle lotte, questa la sua risposta: “Nei momenti di difficoltà l’unità dei più deboli, la capacità di ribellarsi e di proporre, può avere sempre dei risultati, l’accettazione la fatalità sono sempre sentimenti negativi. Incontrarsi, trovarsi, proporre degli obiettivi poi su questi lottare, è questo che ci resta di quelle lotte. La storia dei tumulti del 1950, non fu isolata. I sansalvesi nel 1930, lottarono anche contro la coltivazione del riso. Nei primi anni venti, a San Salvo nacque la prima cooperativa agricola e di servizi, credo si chiamasse “Civiltà e progresso”. San Salvo ha sempre avuto una realtà molto dinamica politica e sociale.  La storia di San Salvo è quella di un movimento contadino sempre molto attivo e propositivo, la stessa nascita dell’Euroortofrutticola, non nasce dal nulla, nasce da un’antica storia di coltivazione della terra, di esperienza, ma anche di capacità organizzative”.

La costruzione di una città, nasce dall’impegno delle sue genti e dalla lungimiranza dei suoi amministratori. Molto dobbiamo a coloro che oggi non ci sono più, Sebastiano Napolitano, Ugo Marzocchetti maestro elementare primo sindaco del dopoguerra e a tanti altri. Un grazie immenso a Luigi Ruggieri, che ho avuto l’onore di conoscere e frequentare. E’ stato grazie a lui che mi sono appassionata a questi racconti e li ho trasformati nella mia tesi di laurea. Luigi Ruggieri era un uomo di partito, che amava la sua gente, capo della rivolta di quei giorni, primo degli esclusi nella ripartizione di quei terreni. Gli venne impedito l’espatrio, per motivi politici gli venne ritirato il passaporto, continuò tuttavia il suo impegno politico e sociale, fu lui a costituire il circolo degli anziani, a creare un luogo di incontro e di svago che ancora oggi esiste. Sono molte le storie simili a quelle di Luigi Ruggieri, di discriminazione per motivi politici. Oggi non ne abbiamo più ricordo. Continuo a raccontare a mio figlio la storia della nostra città, perché è importante sapere, chi ha percorso queste strade prima di noi, per avere più coscienza nel percorrere nuovi e più importanti passi. 

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