Le letture di oggi ci aprono direttamente alla Grande Settimana Santa che troverà il suo avvio tra una settimana nella lettura della Passione secondo Marco. In che modo? Gesù, dopo lâepisodio della risurrezione di Lazzaro e della professione di fede di sua sorella Marta (Gv 11) entra finalmente a Gerusalemme, azione che avrebbe potuto dare adito a spiacevoli equivoci politici e sociali. Si presentano infatti alcuni greci (i quali con ogni probabilità seguivano la Legge senza essere circoncisi) con una richiesta esplicita: «Vogliamo vedere Gesù». Chi non ha mai avuto questo nobile desiderio, di contemplare il Figlio di Dio faccia a faccia! Ma questo âvedereâ può essere unâazione ambigua: câè un vedere nel profondo, ma anche un vedere superficiale, curioso. Il verbo che qui usa Giovanni vuole indicare quasi un vedere in profondità , la contemplazione di una realtà più profonda dellâapparenza.
Filippo e Andrea (si notino i nomi di origine greca) lì conducono da Gesù, questi si mostra dunque per ciò che effettivamente è: âSe il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto fruttoâ. Sembra di risentire Paolo che ai Corinzi scrive: âFratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i paganiâ (1 Cor 1,22-24). Gesù non fa prodigi, non parla con sapienza: Egli è seme, chicco di grano caduto in terra. Lâimmagine del chicco di grano è potente: richiama lâesperienza del contadino il quale, al momento opportuno, prende le sue riserve e le getta sperando che diano il loro frutto. Per ricavare lâagognato frutto, il seme deve compiere due operazioni: cadere per terra e morire. Assoggettarsi ad essere calpestati, attaccati nel proprio guscio, perdere qualcosa con la speranza (non la certezza!) di dare fruttoâ¦questo ha fatto Gesù, questo chiede di fare a noi che, vivendo in lui, moriamo giorno dopo giorno dopo quella grande morte che è stata il nostro battesimo.
La parabola del chicco di grano caduto in terra che deve morire per dare frutto rappresenta dunque, più che un pio racconto o paragone, piuttosto una regola di vita. Lâuomo vecchio, per dirla con San Paolo, non comprende come si possa vivere perdendo la propria vita. Eppure è questa lâesperienza che fanno i figli di Dio, i risorti in Cristo e, potremmo dire, la Chiesa tutta. Quando la comunità dei fedeli vive seguendo questa regola essa porta frutto abbondante di vita eterna. Pensiamo alla nota frase di Tertulliano, uno scrittore del III sec. : âIl sangue dei martiri è il seme dei cristianiâ. à paradossalmente così: proprio quando la vita ha manifestato la Vita in Cristo essa ha dato frutto; quando la logica del mondo (lâaffermazione, il successo, la prevaricazione) ha dominato (e forse domina tuttora?) lâazione ecclesiale e personale dei cristiani viviamo la sterilità del seme ben riposto nel sacchetto, non caduto, non morto ma terribilmente solo e sterile.