La porte de la terre

Giuseppe D'Alessandro
05/06/2005
Storia
Condividi su:

Un'antica filastrocca che mia mamma mi faceva ripetere fin da bambino senza che ne capissi il completo significato, parla del guardiano de la terra e recita così: Carnevale ne stave bbone, ze magnave 'nu pare d'ove; chi la fitate? La galline ciuppicate; chi la ci uppicate? Lu guardiane de la terre. Addò stà lu guardiane de la terre? E' jute a lu bosche. Addò stà lu bosche? L'ha bruciate lu foche. Addò stà lu foche? L'ha stuse l'acque. Addò sta l'acque? L'ha bevute lu vitelle: Nuce, nucelle, cumbitte e castagne, ti mi li cuci e j'mi li magne. Svolgendo il tema me la sono ricordata; so che il termine terre in lingua sannitica, significa ''paese'' e che lu guardiane de la terre era anticamente ''il guardiano del paese''. La porte de la Terre era la ''porta del paese'' ed una volta era munita di un gran portone che all'imbrunire veniva chiuso per non far entrare dal vicino bosco i pericolosi briganti. Col passare del tempo San Salvo si è ingrandito, i costumi sono mutati e la Porte de la Terre era rimasta un'opera d'arte antica, dello stesso stile architettonica della Chiesa di San Giuseppe. Ora no c'è più niente, solo il ricordo. I residenti della vecchia San Salvo, chiusa ancora dalla Porte de la Terre vivevano in modo diverso da oggi; le strade non erano asfaltate, le case erano piccole e prive delle attuali comodità. In una sola stanza si dormiva, si mangiava, e ci si tratteneva in dieci o più persone e talvolta con le bestie. I materassi erano di crine o di fruscie di granturco. Si mangiava pochissima carne, solo nei giorni di festa, si mangiava tanta verdura, patate, zucchine e cipolle. Una vecchia canzone dialettale recita: ''magnate carne e maccarune, che le fujje rape ze da' spricà''. Carnevale infatti, così gridava alle persone che stavano in piazza per assistere alle comiche e rozze mascherate preparate dal cape addozie Angelo Balduzzi che travestiva il suo asinello e faceva ridere tutti. Era il mio bisnonno e sotto la Porte de la Terre non solo a carnevale ma anche alla vigilia di capodanno, la sera prima di Sant'Antonio e di San Sebastiano dava appuntamento ad un folto gruppo di amici allegri e commedianti per organizzare sfilate e serenate con la speranza di ricevere, in cambio del divertimento salsicce, mandorle, fichi secchi, vino, ventricina, noci e, dai più ricchi qualche dolce. Allora però tutta la gente aspettava con ansia queste ricorrenze perché non c'era la televisione, né esistevano altri divertimenti sofisticati come oggi; si lavorava molto e la festa era veramente importante, perché portava ciò che nei giorni feriali mancava completamente. Il pane era scuro, la pasta era fatta in casa, i fagioli si cucinavano nelle pignate sulla brace del fuoco, l'acqua si bevevo col maniere e si prendeva dalla conca, la pizza di grano turco fatta di farina di mais e acqua bollente, si cuoceva sotto la coppe. Le sarde salate si friggevano con la pastella; a Natale si mangiavano le scrippelle e la ventricina era così buona e preziosa che un certo Pampiluccio durante la visita di un amico, allora morto, prima del funerale, mentre tutti piangevano guardando in alto la canna delle salsicce, e vedendo una ventricina appesa, ad alta voce esclamò:>. La ragnata era la marmellata d'uva utilizzata per li cillichieni larghi come un piatto che si mangiavano solo nelle feste di famiglia. I liquori si chiamavano rusolie erano di tanti colori e si bevevano solo durante i matrimoni, i battesimi, e i fidanzamenti in piccolissimi bicchieri che venivano riempiti senza essere mai lavati. I pranzi importanti venivano preparati in casa, non esisteva, per questi scopi il ristorante. Si ammazzavano polli, conigli, piccioni, galline e papere ed il tutto era cucinato così bene che il profumo si estendeva anche fuori. Ed il suo ricordo rimaneva per lungo tempo. Una settimana prima dello sposalizio si portava un carretto abbellito agghindato la dodde nella casa dello sposo dove veniva spase per terra e sui muri e tutti potevano ammirare! Essa a seconda del numero di lenzuola, federe, mutande e camice da notte era detta alla ''sei, alla dodici, alla ventiquattro'' la sposa andava ad abitare in casa dei suoceri ed insieme si lavorava e si aspettava la nascita nel bambino che prendeva il nome del nonno o della nonna. A Pasqua il venerdì Santo sotto la porte de la Terre, passava lo stesso Cristo Morto che è ancora nella Chiesa di San Giuseppe. Il lunedì di pasqua si faceva la scampagnata e sui prati di rampa lupina si mangiava uova lesse, pupe, cavalli e castelli. Sotto la Porte de la Terre i bambini facevano la ciupaceca, giocavano a sbattamure a spallucce a vriccilelle, i vestiti venivano rattoppati, le calze erano fatte con i ferri, le scarpe avevano le cintrelle, le ginocchia erano sempre scorticate e i più piccoli avevano la pipinella fuori dal buchetto centrale del pantaloncino corto, corto e stretto stretto. Il barbiere lavora poche volte ma sodo, perché il taglio era alla Umberto o cocciapelato per evitare i pidocchi, che allora erano ricorrenti. Le donne avevano i capelli lunghi raccolti a trecce e poi attruppati. Dal barbiere Andunine Umbertucce e Lilline suonavano con chitarre e mandoline.

Leggi altre notizie su SanSalvo.net
Condividi su: