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Davide Scutece, l’alienazione del lavoro di operaio diventa fonte d’ispirazione artistica

Storie di vita

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Davide Scutece è un’artista sansalvese che comincia ad avere un respiro quasi internazionale anche grazie alle illustrazioni di un coffee- book “ …e finalmente torno a essere quello che avrei sempre voluto essere” regalato da Alessandro Obino a tutte le sedi della Chrysler sparse nel mondo. Davide fa l’operaio in un’azienda del vastese ma ciò che più lo identifica è la sua arte.

Ricordi quando e come hai cominciato a dipingere, quali erano le tue emozioni e il tuo colore preferito?

Figlio di emigranti italiani, sono nato in Germania a Gevelsberg. Da piccolissimo coloravo i muri e le porte dei miei genitori. Disegnare e colorare mi facevano stare bene, mi rilassava era il mio mondo. Di notte quando non riuscivo a dormire, mia mamma mi dava carta e colori perché sapeva che poi mi sarei rilassato. E tuttora amo dipingere di notte quando i tempi non sono cadenzati dai vari impegni e tutto tace. Il mio colore preferito è il blu perché è il segno dell’infinito e dell’immenso.

Mi racconti un po’ della tua vita?

Quando avevo sei anni siamo tornati in Italia perché mio padre aveva trovato lavoro da tornitore qui a San Salvo. In Germania eravamo considerati stranieri e quando siamo tornati in Italia eravamo comunque degli stranieri. All’inizio non è stato semplice. Anche a scuola avevo delle difficoltà ma ciò che un po’ mi salvava erano i miei disegni sempre apprezzati dai miei insegnanti e dai miei compagni di classe. Disegnavo, un po’ stile fumetto, delle satire sulle persone che ci circondavano, bidelle, insegnati e compagni di classe. Ho preso la licenza media grazie alle scuole serali. Amavo solo disegnare, dipingere e farmi una cultura dell’arte in tutte le sue sfaccettature dalle tecniche pittoriche allo studio della storia dell’arte e dei suoi protagonisti. Il mio era ed è uno studio da autodidatta e come se il mio essere la ricercasse come il pane e l’aria. A quattordici anni ho cominciato a lavorare presso i fornai di San Salvo. Pure se era un lavoro pesante, mi piaceva la magia della mescolanza di farina, acqua e lievito e il profumo del pane appena sfornato. A diciassette anni ho cominciato a fare i lavori “più da ragazzi”, barista e simili. A 13 anni ho cominciato a dipingere su commissione grazie a mia mamma sarta. Le sue clienti apprezzavano i miei quadri appesi alle mura di casa.  Non c’era giorno che non dipingevo, studiavo arte e quando c’era una mostra salivo sull’autobus e andavo. Tutti mi dicevano “sei davvero bravo dovresti fare qualcosa”. A diciassette anni mi hanno messo in contatto con Ennio Minerva, un vero maestro d’arte e di vita. Cercava di trasmettermi quanto più possibile e spesso mi ripeteva “l’arte non s’impara si ruba”. Mi ha introdotto nell’ambiente dei pittori del vastese e mi ha coinvolto nelle varie mostre pittoriche a cui partecipava lui.  Grazie al sito Underground Vastese mi ha contattato Alessandro Obino per illustrare il cofee book “ …e finalmente torno a essere quello che avrei sempre voluto essere”. Dopo dieci anni Ennio mi disse “ora non ho più niente da impararti”. A diciannove anni sono entrato a lavorare con un contratto interinale presso un’azienda del vastese dove ho conosciuto anche la mia attuale compagna di vita che ha influito molto sulla mia arte rendendola più gioviale. Scaduto il contratto, siamo stati entrambi licenziati ma ciò nonostante abbiamo deciso di andare a convivere a Vasto. Vivevamo solo con il ricavato dei miei quadri, eravamo due cuori e una capanna. L’anno dopo sono stato chiamato, sempre con un contratto interinale, da un’azienda del vastese, la stessa dove tuttora lavoro. Un giorno feci un “quadro premonitore”.  Volli rappresentare la “Maternità” e disegnai una donna con lo sguardo pieno di ansia, per certi aspetti trucido che si teneva stretto un bambino di cui non si scorgeva il volto. Quel quadro mi diede il coraggio di andare dai miei capi e chiedere con forza di stabilizzare il mio contratto. Dopo qualche giorno ho scoperto che la mia compagna era incinta.  E Da allora la mia vita scorre tra il mio lavoro in fabbrica, la mia arte e la mia famiglia. Il sabato e la domenica sono dedicati esclusivamente alla famiglia.

Spesso il lavoro dell’operaio in fabbrica è alienante. Da artista se dovresti dare una ricetta per cambiare questo stato quali prescrizioni daresti?

Purtroppo è vero il lavoro dell’operaio è estremamente alienante per me l’arte oltre a essere una parte essenziale del mio essere è anche una valvola di sfogo.  Gli sportelli delle macchine, le catene di montaggio, e tutto ciò che si trova nell’azienda sono presenti nei miei quadri insieme alle emozioni vissute in questo luogo. Il mio lavoro diventa una grande fonte di ispirazione. Per umanizzare il lavoro dell’operaio bisognerebbe innanzitutto coinvolgerlo nelle decisioni dell’azienda. Capita spesso che siamo chiamati a cambiare un sistema di lavoro senza sapere il perché. Della serie “questo lavoro che prima facevi in un modo adesso lo devi fare in quest’altro modo, punto”. I cambiamenti spesso sono gestiti dai “teorici” che non interagiscono e non collaborano con chi ha acquisito esperienza pratica nella gestione di quel lavoro. Noi operai siamo quasi considerati alla stessa stregua di una macchina e mai come menti pensanti. Un’altra prescrizione potrebbe essere la rotazione nelle postazioni di lavoro.

Dipingere seguendo semplicemente un istinto e dipingere su commissione, cosa cambia?

Per me assolutamente nulla perché comunque dipingo innanzitutto delle emozioni perché l’arte si può definire tale solo se scolpisce l’anima di chi la realizza e di chi ne gode. Le emozioni trasmesse nelle mie opere sono mie o quelle dei miei committenti e spesso cerco anche di dipingere entrambe. Tempo fa un marito mi ha commissionato un quadro che doveva essere un regalo speciale per la moglie che doveva partorire e mi aveva detto anche che lui per motivi di lavoro spesso non era presente in famiglia. Ho realizzato un quadro con una canoa dove viaggiava una donna con due bambini trainata da una canoa guidata da un uomo. Mentre realizzavo quest’opera mi sentivo spesso telefonicamente con il marito per entrare in empatia con le sue emozioni e poterle poi rappresentare al meglio e seguendo anche i suoi gusti.

Quali sono le tue principali tecniche pittoriche?

Sono sempre in evoluzione e a volte vengono fuori da ispirazioni del momento. Tutto diventa strumento di pittura persino la pioggia, il vento, un rullo da pittore e i miei piedi. Un paio di estati fa avevo sofferto tantissimo il caldo e un giorno venne a piovere, avevo voglia di stare fuori per godermi un po’ quel fresco ma avevo anche voglia di dipingere e allora mi venne in mente di usare la pioggia a mio favore. Nella tela che avevo iniziato marcai con il colore un bordo esterno e lo misi sotto la pioggia che con il suo scendere fece un effetto straordinario e imprevedibile. La stessa cosa feci in un giorno ventoso utilizzando dei colori più liquidi. Una volta dovevo dipingere una tela 10mx6m e ho usato il rullo come pennello e i miei pedi per fare le foglie.

C’è una tela a cui sei particolarmente legato?

Sono legato un po’ a tutte le tele ma la mia preferita è la tela bianca.

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