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Sebon, il potere e lu mazzmarell

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Due le esibizioni estive dell’attore Felice Tomeo, in arte Sebon. E tutte e due in Piazza San Vitale. La prima, nell’ambito della prima festa del dialetto sansalvese organizzata da Mario Torricella e la seconda, nell’ambito della prima notte de lu Mazz marell, organizzata dall'Associazione Terra & Cuore. Entrambi gli eventi sono stati molto partecipati, perché – si sa – Sebon è uno che la gente in piazza ce la porta. Nella prima, l’attore si è cimentato in un lungo e piacevole monologo e nella seconda ha dato vita ad un simpatico siparietto, con altri tre protagonisti: Mario Torricella, Angelo Di Batolomeo e Manfredo, che impersonava proprio il folletto cui era dedicata la serata. I quattro siedono nello stesso scompartimento di un treno. La discussione tra Mario, Angelo e Felice verte sul mazz marell, seduto accanto a Sebon e coperto da una pesante coperta di lana. Per tutto il viaggio i tre parlano di come sarebbe fatto il folletto, che nessuno ha mai visto e che ciascuno costruisce a proprio piacimento. Quando si arriva al dunque e bisogna scoprire Manfredo, Mario ed Angelo si mettono paura e se ne vanno in corridoio. I due viaggiatori interpretano “l’immaginario collettivo”, che parla e sparla del mazzi marell, ma non l’ha mai visto, perché preferisce non vederlo e fondamentalmente ne ha paura. Nella prima gag (quella della festa del dialetto) ad interpretare “l’immaginario collettivo” è invece lo stesso Sebon, che racconta (con un idioma molto marcato) ad un’altrettanto immaginaria ‘Za Cristen (Cristina…zia sta per signora anziana, cui è dovuto rispetto) gli ultimi quarant’anni di vita sociale e politica del piccolo borgo, divento città. Sebon parte dalla demolita e ricostruita porta de la terra, cita i principali personaggi delle ultime tre fasi politiche (Artes, Piscicel, Armand e Rinald; Arnald, Dnat e Abbriel; Tiziàn la prima sindachess, Nicola, ch zi fa chiamà Nich ca è scic e Angiulin). Riconosce concretezza ai primi (per aver portato le fabbriche), critica i secondi (…per il parcheggio disegnato troppo basso, perché l’ingegnere si è accorto solo dopo l’apertura  che non ci entravano le macchine…) ed apre ai terzi (elogiando il successo della notte bianca, che per fortuna ha riportato gente al centro). Quel popolo  interpretato da Sebon e da questi richiamato nelle piazze e nei teatri è così. Parla e sparla de lu mazzi marell, ma preferisce non guardarlo in faccia. Loda il potere quando diventa storia, lo critica quando è appena finito, simpatizza istintivamente per le facce nuove. Sebon fa ben capire che l’aver tolto il tabù dell’uso della piazza principale, consentendo alle associazioni di organizzarvi  manifestazioni semplici ed autarchiche, con cucina di arrosticini e salsicce e distribuzione di boccali di birra ha fatto segnare qualche punto ai nuovi amministratori, regalando soddisfazioni agli organizzatori, ai commercianti e a chi sa farsi quattro risate con Felice. Evidentemente Oliviero Faienza e Giovannino Artese (quest’ultimo appena dopo il primo turno elettorale in un comizio aveva solennemente detto “il cambiamento sta arrivando”) un impronta di discontinuità rispetto alle estati precedenti l’hanno voluta dare, costruendo o comunque non ostacolando una stagione alla Renato Nicolini (l’assessore di Roma scomparso di recente). E così come i romani a metà anni settanta mostrarono di apprezzare quegli eventi che svuotavano le borgate e riempivano il centro storico, allo stesso modo tanti sansalvesi, senza troppe pretese, quarant’anni dopo stanno partecipando ad eventi semplici e popolari. Se poi a dirlo è un autentico interprete degli umori popolari come Sebon c’è da credergli…

 

Foto di SIMONE COLAMEO

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