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Bullismo: dal silenzio a internet, tutti i motivi di un disagio sociale

Al convegno presente anche il sindaco Tiziana Magnacca per il consueto saluto

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Si è aperto intorno alle ore 9.00 il convegno "Quando il gioco non dura poco..." tenuto al Park Hotel Gabrì contro il bullismo, una piaga sociale da sempre esistente nella cultura moderna, i relatori, con i loro interventi, hanno portato alla riflessione i presenti nei confronti di alcune cause, riconosciute come fattori scatenanti di questo fenomeno. Le prime parole sono state quelle del sindaco di San Salvo Tiziana Magnacca, che ha colto l’occasione per ringraziare tutti gli organizzatori, i relatori, ma soprattutto i professori che si sono impegnati per allestire un evento extra-disciplinare. In un breve discorso il sindaco si è interrogato sui motivi di questa piaga, definendo anche i bulli come delle vittime inconsapevoli degli errori commessi dalla società odierna, che invitano il ragazzo a saltare un gradino della crescita per sentirsi più grandi. «Questi problemi nascono necessariamente all’interno della famiglia, nella comunità e dentro gli impianti scolastici. Viviamo in un periodo di crisi dei valori, e dobbiamo cercare di riportare questi valori come base e fondamento nell’educazione dei nostri giovani. Mi auguro che oggi possiamo capire dove stiamo sbagliando.»  Al termine del suo discorso è intervenuta ai microfoni l’assessore alle Politiche sociali, Maria Travaglini.
«Anche la scuola deve fare la sua parte, i ragazzi iniziano il proprio cammino all’interno della famiglia, in un luogo tutto ovattato, in cui si sentono protetti. Ma quando arrivano a scuola si sentono spaesati, devono imparare a socializzare, devono imparare il rispetto per le regole, compito che in gran parte tocca alla scuola che, se riuscirà in questo intento, sarà in grado di debellare il bullismo.»
Il convegno è proseguito con la visione di un video intitolato “Un esserino di nome Bip” un racconto di fantasia che ha ripercorso i temi del bullismo: Bip, da esserino gentile e sempre felice, ha visto il suo cuore frantumarsi in mille pezzi per una cattiveria subita, di seguito ha chiuso il proprio cuore dietro un freddo muro di pietra, diventando un bullo come molti altri. Rimase solo, il suo mondo divenne grigio, spento, senza colori, così capì che quel muro che si era costruito non bloccava solo i dispiaceri, ma anche le cose piacevoli della vita. Decise quindi di riporre il muro in un taschino e di tirarlo fuori solo nei momenti tristi, tornando di nuovo gentile e felice con tutti. Un’altra storia di fantasia è stata raccontata dalla studentessa Maria Elena Pacilli, la storia è stata spunto di riflessione per l’intervento successivo della psicologa dei servizi sociali Antonia Montanaro.
«Il bullismo non è altro che la manifestazione di un disagio giovanile, il bullismo c’è sempre stato, in tutti i livelli della comunità, in cui i più potenti sottomettono i deboli.» La psicologa ha voluto fare una differenziazione tra i vari tipi di bullismo: Diretto e indiretto. «Il primo è più di livello fisico, come calci, pugni graffi, il secondo è più di livello psicologico, questo tipo di bullismo passa per l’esclusione del soggetto a ogni attività, alle calunnie verbali.  Per combattere il bullismo dobbiamo prevenire con un’educazione emotiva dei soggetti, dobbiamo far sì che i giovani abbiano ben chiaro il nome di ogni emozione. Restare in silenzio non è una soluzione.» Volto al termine l’intervento della psicologa, la parola è passata al professore di Sociologia della Università Gabriele D’Annunzio, Gabriele Di Francesco. Il professore ha puntato il dito contro due cliché all’interno della famiglia. «Da sempre si sentono le solite due frasi all’interno della famiglia: “Vai con i meglio di te e fagli le spese” e “Non tornare menato perché ti meno”. Due errori dei genitori, innanzitutto, partendo dalla prima frase, chi è meglio di me? Come fa un ragazzo a giudicare cos’è migliore? Due affermazioni che fanno riflettere sulla cultura della nostra società, su come i giovani siano iniziati alla prima uscita nella comunità.»
In seguito ha preso parola un altro professore dell’Università di Chieti Antonio Teti, che ha parlato del nuovo fenomeno del cyber bullismo. Il professor Teti ha posto l’accento sugli smartphone, diventati ormai come computer e strumento preferito dai cyber bulli, attraverso i social network, i blog, la messaggistica istantanea.
«Il 40% del bullismo è online, non dovete pensare che la sicurezza dei vostri figli è garantita solo perché sono in casa, protetti dalle proprie mura, che non vi sono pericoli. Nulla di più sbagliato, i peggiori drammi si consumano davanti allo schermo di un computer. Potrei parlarvi per ore di pedopornografia, dei crimini più efferati. 1 ragazzo su 4 fino ai 19 anni è stato vittima di cyber bullismo, molti di questi bulli restano nell’anonimato, nell’impossibilità di scoprire chi è il colpevole. La coperta dell’anonimato ci permette di essere più forti di quello che siamo, ci permette di fare cose che nella realtà sarebbero impensabili, il tutto senza muoversi da casa, stando comodamente seduto dietro lo schermo di pc. I genitori possono e devono controllare gli accessi a internet dei propri figli, controllare se c’è qualcosa che non va, che siti visitano e cosa fanno, dobbiamo proteggerli.»
Altra colpa, secondo il professore, va attribuita ai videogiochi violenti, giacché permette ai giovani di familiarizzare con la violenza e con scene cruenti.
Accompagnato da molteplici applausi, è invece il discorso della professoressa Eide Spedicato che ha incentrato il suo intervento sull’educazione da impartire ai ragazzi.
«Non vi sono più, da qualche decennio, le norme del patto sociale, gli adulti hanno dismesso il proprio ruolo educativo, questo va detto a chiare lettere. E poiché si apprende per imitazione, i soggetti da imitare molte volte non sono quelli esemplari.» La professoressa arricchisce la sua tesi citando il libro “Piccoli bulli crescono” di Anna Oliviero Ferraris come un bambino crescono in un ambiente sempre più difficile, genitori separati, genitori che non fanno altro che litigare, adulti che nell’omertà non denunciano, anzi non fanno proprio nulla per impedire atti di bullismo, la violenza è diventato un fatto normale, tant’è che ci appare come la sequenza di un film.
«Si parla molto spesso di formazione e non più di educazione. Il bambino, quando entra per la prima volta all’interno di una scuola, deve smettere i panni consueti del suo ambiente casalingo per vestirne altri più universalistici, che gli permettono di entrare adeguatamente in un discorso sociale più ampio. Questo non accade, io ho sentito molti bambini, fin dalle elementari, che si rivolgono a loro insegnati dando del tu e chiamandoli per nome, il tu non si dà agli insegnati, si dà ai coetanei. Non alle persone adulte nei quali confronti bisogna nutrire,  e avere, soggezione. La realtà nella quale viviamo è gerarchica, che ci piaccia o no, e vanno rispettate le gerarchie: di età, ruolo e competenza. Non c’è più rispetto né nei luoghi in cui viviamo né nelle persone, perché nessuno applica più la sanzione che è vista come un atto di violenza, una rappresaglia nei confronti di qualcuno, ma è una forma di educazione nei confronti delle persone.»
Il convegno è concluso dalla coordinatrice Marisa Coletti Bottarel, che ha dato la sua personalissima riflessione sulle parole di tutti i relatori, ha ringraziato tutti gli organizzatori, gli alunni che hanno aiutato alla riuscita della giornata e tutti i presenti.
Un plauso speciale va all’orchestra della Scuola media Salvo D’Acquisto coordinata dal professore Fausto Esposito, che ha aperto il convegno con l’inno nazionale e al termine di esso hanno intrattenuto gli astanti con numerosi brani, ascoltati nel rigoroso silenzio e terminati con lunghi e sentiti applausi.

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