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Una vita da camionista

Storie di vita

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I camionisti spesso vengono visti come delle persone molto distanti e lontane che guidano dei mezzi che sono al di sopra di tutto e di tutti. La realtà invece è tutt’altra. Ho incontrato uno di loro, Enzo  Guarnieri che fa questo lavoro con passione da diversi anni e ha accettato di raccontarsi.

“Un signore che incontro saltuariamente, e che circa 40 anni fa abitava vicino casa mia, mi raccontava che all’età di otto anni gli dicevo sempre che volevo fare il camionista e poi aggiungeva “l’hai detto e l’hai fatto”. Forse già da allora avevo le idee chiare?

Ricordo il mio papà (che era ciò che era un “padroncino”) che tornava con il suo bestione di 20 gomme “Fiat 690” con addosso il suo Kway sportivo nero con strisce gialle e rosse. Io stravedevo per lui, era un grande. Restavo ore a sentire i suoi racconti da camionista, delle fatiche e delle rabbie che il suo lavoro comportava.

Durante il servizio militare ho iniziato a guidare le prime motrici e ho preso la patente C. A 19 anni comincio a lavorare come camionista e spesso capitava che guidavo sette giorni su sette poiché il fine settimana aiutavo anche mio padre. Comincio anch’io così a girare tutta l’Italia con il rimorchio. Ho cambiato diversi datori di lavoro e diverse marche di camion e con vari tipi di rimorchi, centine, cisterne, ribaltabili, ecc.

Le differenze tra gli anni ottanta e adesso sono molteplici. C’erano più padroncini, che con la loro cura nel fare le cose con passione, mandavano avanti lavori ben più impegnativi rispetto a quelli di oggi. Passavamo molto tempo con gli apparati C.B. (Walkie-talkie) per chiedere informazioni e per salutarci. Oggi si lavora con navigatori, smartphone e computer per cercare numeri di telefono, vie , aziende. E se vedi un collega che conosci ci si scambia massimo un lampo con gli abbaglianti.  Paradossalmente c’era anche più tempo per l’autista stesso.
La crisi economica ha portato le aziende, anche se per forza maggiore, a puntare sul risparmio cosa che nel tempo ha penalizzato la professionalità del camionista.

Un giorno ero in difficoltà per via di una gomma bucata del camion.  Dei colleghi che conoscevo erano passati oltre; a un certo punto si ferma un camionista di nazionalità greca (che in quella circostanza è stato quello che si definisce un “buon samaritano”), e con un “riduttore di forze” che non avevo mai visto mi aiuta a smontare la ruota. Dopo avermi aiutato ha ripreso la sua strada e non l’ho più visto. Visto l’utilità di quell’attrezzo, l’ho descritto al mio capo e lui ha provveduto a comprarne uno per ogni camionista.

È questo un lavoro duro che non credo sia per tutti. Tante sono le difficoltà da affrontare: ghiaccio, neve, caldo, traffico, strade tortuose, carichi e scarichi, mancanza di parcheggi, mancanza di servizi igienici, furti, paesi pieni di divieti per i camion, ecc. Molte persone fanno questo lavoro non per scelta e passione ma semplicemente come un ripiego. Ma in questo lavoro, più che in altri, non ci può improvvisare: si rischia la vita propria e quella degli altri. Anche in Italia si dovrebbe cominciare a pensare a una scuola per camionisti come avviene all’estero.

Quando si è giovani appassiona il fatto di stare sempre in giro ma quando si va avanti con gli anni vorresti stare più tempo con la famiglia e invece la domenica devi prendere e partire. Un’alta percentuale di camionisti soffrono di ernia al disco e di emorroidi per il fatto di stare sempre seduti e le sollecitazioni del camion. Ma questa non è riconosciuta come una malattia professionale.

Spesso gli automobilisti passano da una corsia e l’altra o fanno altre prodezze, senza porsi il problema di quanto sia problematico frenare un mezzo che pesa 44 tonnellate. Il frenare un mezzo del genere richiede una grande rincorsa e il tutto diventa più problematico se si trasportano materiali pericolosi.

Il camionista non si può permettere una moglie “scema”, deve essere in grado di cavarsela da sola in ogni circostanza e spesso e volentieri si ritrova a fare anche le veci del padre nell’educazione quotidiana dei figli.

Se potessi tornare indietro sceglierei ancora questo lavoro, unica cosa mi piacerebbe che ci fosse una maggiore considerazione e rispetto da parte dello stato."

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