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Storie di donne: Nadia Marchesani, orafa

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Nadia Marchesani, orafa.

Nadia è una donna che appare minuta, gracile. Poi guardi le sue mani, le sue dita, grandi e nere, modellate nel modellare, mani da lavoratrice.

Nadia è un’artigiana, è così che ama definirsi, come lo era suo padre, meccanico, conosciuto da tutti con il suo soprannome “squacciarille”.

Un artigiano, il lavoro lo tiene stretto tra le mani, è un qualcosa che nessuno ti può togliere” ci dice Nadia guardando le sue mani nere, non con il rimpianto di un’estetica trascurata, ma con il ricordo delle cose belle forgiate con quelle dita.

Nadia, cresce con l’animo di chi vuole esprimere ciò che gli scoppia dentro. Un‘adolescente eccentrica nel vestire, che si forma prima presso l’Istituto D’Arte di Vasto, dove impara i rudimenti dell’arte orafa, poi per diversi anni nei laboratori dei maestri orafi di Ortona, Termoli e Vasto. Uno su tutti Cuccio Suriani, che “mi ha insegnato soprattutto il rapporto che un orafo deve instaurare con il proprio cliente, per poter esprimere un gioiello che lo soddisfi al meglio”.

Il giorno del suo diploma, il padre gli regala il suo primo banco da lavoro, quello che ancora oggi dopo 20 anni di mestiere, riempie il suo laboratorio, che custodisce i suoi attrezzi.

Gli anni passati come apprendista, venivano ripagati non con denaro, ma con gli attrezzi. Poi nel 1995 il grande passo, un laboratorio tutto suo.

20 anni di mestiere quest’anno, una famiglia, due figlie e la decisione di puntare di nuovo su di sé, su questo mestiere che tiene tra le mani.

Ricomincia con lo studio a settembre, frequentando una scuola di specializzazione romana in designer orafo. Una volta a settimana lascia laboratorio e famiglia, superando paure ed insicurezze.

Nadia si è rimessa in gioco, per crescere, perché anche dopo 20 anni di esperienza lavorativa e 43 anni di vita, non si può pensare d’essere arrivati, si ha sempre qualcosa da imparare, si ha sempre la possibilità di migliorarsi.

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