Sono amare le parole di don Michele Carlucci, parole di grande amarezza, per quanto è accaduto in passato e per i risultati che ne sono conseguiti. Una divisione tra il parroco e alcuni parrocchiani, ha portato nei mesi scorsi a manifestazioni pubbliche, a comunicati dai toni eccessivi, che hanno mostrano alla comunità non le ragioni dell'uno o dell'altro ma una divisione. Questa divisione ha condotto a due risultati certi: una chiesa ancora chiusa e la partenza di un parroco, il secondo da che don Piero Santoro ha lasciato la comunità sansalvese.
La voce, finalmente giunta dal Vescovo, ha avuto un unico risultato ad oggi, la decisione di mandar via il suo parroco, l'uomo che lui aveva scelto di guidare la comunità sansalvese di San Nicola.
Sembra che arriverà un giovane parroco, che avrà indubbiamente un compito difficile, quello di rimettere in piedi una chiesa, una comunità, non solo materialmente ma soprattutto affettivamente. Di seguito le parole di don Michele Carlucci:
Cari amici, nel corso del mio ministero presbiterale, e sono 38 anni che sono sacerdote, ho imparato che l’espressione più alta della libertà è l’obbedienza. Normalmente non si riesce a comprendere questo concetto, perché si ha sempre l’idea che chi obbedisce sia costretto a farlo. Invece ho capito che se voglio essere davvero libero devo essere libero anche di obbedire.
E così, dopo solo quattro anni di ministero come parroco qui a San Nicola in San Salvo, l’Arcivescovo mi ha chiesto ancora una volta un atto di obbedienza. Ed io, senza esitazioni, come del resto ho sempre fatto, ho detto “sì” alla sua richiesta.
Quando venni in mezzo a voi, facendo mie le parole di Jorge Luis Borges, vi dissi: “Non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita. Non ho risposte per i tuoi dubbi o timori. Posso, però, ascoltarli e dividerli con te. Non poso cambiare né il tuo passato né il tuo futuro; però, quando serve sarò vicino a te. Non posso cancellare la tua sofferenza; posso, però, piangere con te. Non sono gran cosa, però sono tutto quello che posso essere”. Dio solo sa se sono riuscito a dare soluzioni e risposte decisive; se sono riuscito a incidere nella vostra esistenza; se sono riuscito ad asciugare lacrime e a riportare il sorriso. Sono stato semplicemente un compagno di viaggio che ha condiviso le stesse domande, ha partecipato alle stesse esperienze di dolore e di gioia, ha dubitato, ha temuto, ha sperato e talora forse anche disperato. È vero, che “non sono gran cosa”, ma ho cercato di essere con tutti “tutto quello che posso essere”.
Tuttavia non posso nascondere l’amarezza per quanto è accaduto in questi ultimi tempi, vicende che, purtroppo, di cristiano hanno ben poco.
Permettetemi di condividere una considerazione: quando ho esposto a questa comunità l’ipotesi di costruire una nuova chiesa, quale messaggio è passato? Semplicemente quello di un prete ambizioso di far carriera, desideroso di cancellare anni di storia per poter dimostrare di essere uno in gamba? Perché, invece, non si è voluta capire la mia vera intenzione che era quella di volermi assumere tale responsabilità per amore nei confronti di un’intera popolazione? Quando parlai di questo mio progetto ad alcuni confratelli sacerdoti, più di uno mi disse senza mezze misure: “Ma chi te lo fa fare?”. Credetemi, anch’io più di una volta me lo sono chiesto e l’unica risposta che mi rasserenava era solo quella del bene che volevo a questa comunità. Giustamente non basta costruire edifici per fare una comunità, ma io ero convinto, e lo sono tutt’ora, che questa comunità fosse matura per affrontare, insieme a me, l’impegno di un’opera che sarebbe rimasta non a memoria di don Michele Carlucci, ma quale segno di partecipazione di un’intera comunità. Quando un parroco si propone di costruire una nuova chiesa sta dicendo ai suoi fedeli “io credo in voi e mi impegno a stare davanti a voi, assumendomi tutte le responsabilità, perché so che posso contare su di voi”. La realizzazione di tale opera mi avrebbe visto impegnato per i prossimi anni, e chi sa, forse, continuare l’avventura tra voi, anche per tutto il tempo restante ad arrivare all’età della pensione.
Ma comunque tutto questo è ormai storia passata, come direbbe la saggezza popolare, è acqua passata che non macina più.
Ebbene sono in partenza, vado via comunque sereno, anche se, non ve lo nascondo, con un po’ di amarezza. Mi dispiace perché sono convinto che qualcuno pensa, con il mio trasferimento, di aver vinto. Senza sapere che, quando si usano mezzi sleali, calunnie, pregiudizi, lettere aperte che sono, pensateci bene, la veste elegante delle lettere anonime, quando si ricorre a inganni per estorcere firme a persone ignare ed estranee, non si può dire di avere vinto.
In questa storia non ha vinto nessuno. Tutti abbiamo perso: in primo luogo tutta la comunità di San Nicola che dovrà aspettare decenni per avere una nuova chiesa che inevitabilmente si dovrà fare quando, dopo un inutile e costoso lavoro di restauro, ci si renderà conto che era meglio costruire “il nuovo che aggiustare il vecchio”. Ma pazienza, la storia, che dà sempre ragione alla verità, ci insegna anche questo.
Sono certo, come ha detto Jorge Luis Borges che “Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasiato nulla. Questa è la più grande responsabilità della nostra vita e la prova evidente che due anime non si incontrano per caso”.
Ma è giunto il momento dei saluti e mi piacerebbe fare mie alcune parole di San Paolo che riassumo brevemente: «Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai (1Ts 1,5) (…) e per tutto questo tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove (At 20,19) (…) Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case, scongiurando (…) di convertirvi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù (At 20,20-21). (…) Per questo dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero, perché non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio (At 20,26-27). (…) Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi sapete che alle mie necessità (…) hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!” (At 20,33-35)».
Il Signore vi benedica e custodisca nel suo amore.
Sac. Michele.
Alcuni parrocchiani hanno voluto commentare, affermando che questa è una punizione giunta per quanto accaduto.