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Coronavirus, le ragioni delle zone interne

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In questi ultimi giorni del Coronavirus ed in attesa di maggiore mobilità dal prossimo 4 maggio, sembra aumentato il livello di attenzione sulle zone interne, non soltanto per la minore possibilità di contrarre il virus (trattandosi di Comunità con popolazione limitata, assembramenti rari, ambiente pulito e sano), ma anche per la riproposta di modelli di vita che tornano condivisibili e desiderabili. C’è anche chi scrive che nei paesi interni e montani “c’è il nostro futuro”.

Certamente la verifica che la corsa alla città, insieme a tanti vantaggi, abbia prodotto danni rilevanti sia nei luoghi di partenza che in quelli di arrivo sembra portare ad esiti condivisi: lo spopolamento delle zone interne, il flusso migratorio a direzione unica monte-valle, sono stati fenomeni di una politica sociale ed economica sbagliate.

Ora l’epidemia rimette tutto in discussione; ora si parla di nuova territorialità.

 L’attenzione va posta sulla soluzione del quesito iniziale: perchè abitare in un Comune interno e montano? Che sia bello, ecologico, pacifico non è sufficiente; tutt’al più può sollecitare l’antico paesaggio della gita o della sagra, ma non è bastato e non basta per la sopravvivenza. Ci vuole altro, e prima di tutto bisogna eliminare la discriminazione sul costo della vita nelle zone interne; questa discriminazione potrà essere progressivamente eliminata con la fiscalità agevolata.

In contemporanea dovrà essere eliminata la seconda discriminazione che ci umilia e punisce, e cioè l’erogazione dei servizi sulla base del numero degli utenti. Abitare in un Comune dove la Posta, la Banca, la Scuola non sono diritti a prescindere ma servizi condizionati dal ritorno economico, dal numero degli utenti. Ed ancora: il lavoro. L’antico disegno di “fabbrica” deve essere resettato se vogliamo applicarlo nei territori interni.

In vista della riapertura delle attività commerciali e d’impresa c’è l’esigenza di unire le forze per consentire il ritorno alla produzione. Molti Sindaci si stringono a patti di solidarietà per agevolare la ripresa delle attività produttive. Il Movimento di difesa delle zone interne è solidale con simili iniziative anzi è a disposizione per la condivisione.  Di attività produttive nelle zone interne ci sono piccole imprese, attività artigianali e piccoli commercianti.

Il patto, secondo il Movimento, deve produrre vantaggi per tutti; dalle parti nostre si dice che per fare la farina fine il setaccio deve andare di qua e di là, rispetto alla mano che lo manovra ( in questo caso da monte a valle e viceversa). Dunque tutta la disponibilità possibile a riportare i nostri operai nelle fabbriche, negli Uffici Amministrativi, nelle Scuole, dovunque.

Ma questo è il tempo della riconsiderazione dello “svantaggio” di vivere nelle aree interne; è il tempo dello sfruttamento delle risorse ambientali, della ricerca di nuove forme di turismo ecologico e soprattutto delle nuove forme occupazionali, sul lavoro a distanza. Come si può offrire ai giovani il lavoro a distanza, dalla propria casa? Ci sono molte risposte serie e che hanno bisogno di volontà politica, di capacità amministrativa e di risorse. Certo senza la banda larga, senza rapidità di collegamenti, le soluzioni di lavoro a distanza sono un sogno.

Dunque si riuniscono i sindaci: il setaccio va e viene. Ma se tutto si risolve con il solo movimento all’andata nulla cambierà, con o senza virus.  Immaginiamo un sindaco, per esempio che propone come incentivo al turismo interno tratti di pista ciclo-pedonale negli splendidi paesaggi interni e montani; o che propone, nei tratti pedemontani e vallivi del territorio, l’individuazione di aree artigianali-industriali. Stiamo nel cuore del problema sanitario e l’evidente distrazione della politica rispetto agli ospedali. Come fa questo setaccio a tornare anche un po' “di qua”? Abbiamo i nostri presidi sanitari dislocati in varie parti del territorio interno e che sono stati nel tempo depotenziati, con servizi e personale ridotti, annullati come capacità di rispondere alle esigenze di salute della gente. Ritorniamo ad utilizzarli, da subito: Casoli, Atessa, Gissi, Agnone e tanti altri devono servire a meritare lo slogan di moda: “il futuro è nei paesi interni e montani”.

Dunque riapriamo (con le cautele previste) le fabbriche e tutte le attività possibili, spiagge, ristoranti, palestre, tutto; è giusto, è un bene per tutti; troviamo, contestualmente, risorse ed elaboriamo progetti realistici per ridurre ed eliminare lo spopolamento delle zone interne.

 Le risorse finanziarie ci sono, anche quelli della Strategia nazionale per le aree interne, i fondi nazionali e regionali per la montagna e finanziamenti comunitari e nazionali per progetti specifici. Se vogliamo farina fine.

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