“Ora non è il momento di festeggiare”
Tutto al contrario rispetto ad Orazio e al suo inno “Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus!” Certamente, allora era il 31 a.C., erano morti Antonio e Cleopatra, era cessata la guerra civile e, nonostante le innumerevoli perdite all’interno di ogni famiglia romana, era il momento di festeggiare.
Si potrebbe anche pensare a quando, nei giorni di Natale del 1914, durante la Grande Guerra, una serie di “cessate il fuoco” non ufficiali permise ai soldati, per poco, di amarsi e festeggiare e scostare (non dimenticare), almeno per un istante, l’orrore ed il dolore delle battaglie, celebrando l’amore e la fratellanza.
Ma ora?
Probabilmente portare esempi lontani ci esula dal contesto storico, ma è sempre difficile parlare di ciò che è qui ed ora: abbiamo pochi elementi.
In ogni caso, proviamoci.
Non vi è mai stato un momento nella Storia dell’Uomo in cui la violenza , la sofferenza e la morte, da qualche parte, non sprigionassero tutto il loro potere annullando l’amore e la bellezza del vivere umano. Ma nessuno ci ha mai insegnato che se in Siria i bambini muoiono, allora io a casa non devo festeggiare alcunché perché non sarebbe rispettoso.
Ma come si qualifica la vicinanza?
In quanto essere umano dovrei essere vicino a ogni altro essere umano nel mondo, che sia colui che mi abita di fianco o che sia dall’altra parte del globo. Ma questo non significa in alcun caso cessare di celebrare la vita e l’amore.
Andiamo ancora più vicino, restiamo nell’ultimo triennio. Non è necessario raccontare cosa è accaduto negli ultimi tempi, non è questa la sede né sarebbe utile al fine. Il senso è: facendo il gioco del dolore si continua a soffrire. Non significa ignorarlo, anzi! Il dolore e la sofferenza è necessario guardarli in faccia, è necessario che qualcuno ci educhi a questo: al fatto che è costante il dolore nella vita. Ma questo non basta e non può bastare in alcun modo a spegnere la luce che ricorda che esiste la Bellezza.
In tempi così ardui, in tempi così critici, una festa come il Carnevale andrebbe forse riportata in auge e andrebbe forse impiegata per celebrare la Vita che sempre resiste alla Morte. Andrebbe forse insegnato il suo vero senso, eppure basterebbe aprire Wikipedia, primo risultato su Google se si cerca “Significato Carnevale”. Ma è sempre più facile leggere solo la superficialità delle cose, ed è così che si perdono i veri valori morali: resettandoci di giorno in giorno in virtù della notizia più invasiva, annullando il nostro pensiero.
Durante il Covid c’è chi ha smesso di fare l’amore. Non ha nemmeno bisogno di argomentazioni.
Non è la Paura che ci farà sconfiggere il Dolore, è anzi la celebrazione di vita e carne e bellezza della multiformità di esse, proprio come ciò che il Carnevale, nel suo significato più antico, rappresenta: probabilmente derivante dagli antichi riti greci dionisiaci e dai Saturnalia romani, la dicitura pare (come è più accreditato) derivi dalla locuzione carnem levare, letteralmente levare la carne, nel suo significato duplice di togliere e alzare: è la glorificazione del rinnovamento tra morte e vita, proprio alla vigilia dell’equinozio di Primavera, quando la Natura feconda ricomincia a rigogliare, proprio alla vigilia della Pasqua, quando il Cristo risorge e sconfigge la morte della carne.
Ma la carne contiene l’altezza dell’anima che senza di essa, già secondo Thomas Bradwardine, teologo del XIII secolo, si troverebbe dispersa, disincarnata in un cielo di ombre.
Sarebbe stato bello un Carnevale vero, sarebbe stato bello approfittarne per parlare della guerra e del dolore, sarebbe stato bello, tramite l’amore e la gioia, raccontarci ed esprimerci l’un l’altro solidarietà, parlando di cosa accade vicino e lontano da noi, unendoci nella glorificazione della Vita.
Solidarietà a tutte le vittime di crimini di guerra.
Non dimentichiamo mai la Bellezza. Un haiku di Kobayashi Issa, poeta giapponese del XVIII-XIX secolo, così recita:
“Mondo di sofferenza, eppure i ciliegi sono in fiore.”