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La quercia grande

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Ancora dopo il periodo della conclusione della grande guerra (circa un secolo fa), nel territorio sansalvese, era integra e lussureggiante la ragguardevole selva, denominata "Bosco Motticce".
Il bosco era posto a poca distanza dalla sponda sinistra del fiume Trigno, a meno di tre chilometri dalla sua foce e si estendeva su di un quadrilatero, quasi regolare, di oltre 300 ettari di folta e lussureggiante vegetazione.
Era ricco, sia di piante basse che di quelle alte, molte delle quali erano magnifici lecci e grandiose querce, quasi tutte ultracentenarie che donavano generosamente frescura e gran riparo alla canicola estiva ed a piogge improvvise, per una gran moltitudine di genti.
Il bosco era anche fonte di abbondante approvvigionamento, con il suo sottobosco, di legna da ardere e di tronchi da rimuovere, che costituivano la materia prima per vari utensili o piccoli arredi di casa.
Dai racconti delle generazioni che ci hanno preceduto, spesso è stato messo in risalto che gli inverni di allora, erano particolarmente rigidi e lunghi, poiché tendevano ad estendersi, sia negli autunni che nelle primavere, per cui il bosco risultava ancor più indispensabile per scaldare le povere case, in quanto nella quasi totalità di esse, non esistevano altre forme di riscaldamento, se non quello proveniente dai camini o da rudimentali bracieri a carbonella e dagli animali che stazionavano nelle stalle contigue.
La foresta, inoltre, dispensava, della sua variegata fauna, ricca di volpi, lepri, cinghiali, tassi ed istrici; nonché, di numerosi volatili come: fagiani, tordi, quaglie, starne, che attiravano i cacciatori nostrani d'allora, dediti non tanto allo sport, ma alla fatica di portare a casa unicamente selvaggina, utile a completare il magro desco di casa di un menù molto spesso insufficiente a smorzare tutti i morsi della fame.
Era, anche, grande lietezza ascoltare lo stormir di fronde ed i dialoghi canterini delle molteplici specie di uccelli, compresi i gracchi di andirivieni di gazze, alle prese con le ardite costruzioni dei propri nidi frammisti  di rametti e paglia; mentre le civette, ben nascoste, aspettavano il chiarore lunare della notte per emettere i lamentosi stridii ad intervalli regolari.
Ma, secondo il compianto prof. Raffaele Artese, fine poeta dialettale, nonché superbo narratore di storie legate alla natia San Salvo, ai bordi di un'ampia radura, a pochi metri dal fiume, legata alla vasta plaga di verde e di vegetazione arborea, fitta e rigogliosa, primeggiava una "quercia gigantesca che con la sua mole superava in altezza di molti metri le cime dei più alti alberi del bosco ... e si diceva che tredici persone a stento riuscivano a cingerla alla base del tronco e che d'estate e d'inverno sotto di essa potevano ripararsi centinaia di contadini e di animali".
Un'affascinante leggenda legata a questa "Quercia Grande"  Ã¨ fantasticamente narrata dallo stesso Artese, autore di "Fiabe e racconti salvanesi", edito da Cannarsa - Vasto - Feb. 2001, di cui la città di San Salvo, da una decina di anni gli dedica un importante concorso letterario intitolato "Premio Letterario - Raffaele Artese ".

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