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Una donna che non può

I giovani-issimi di Azione Cattolica e della Caritas Gerico sostengono il progetto  #avvenireperdonneafghane

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A 18 anni una donna non dovrebbe rimanere sveglia tutta la notte in balìa delle  sue preoccupazioni. 

A 18 anni una donna dovrebbe interrogarsi sui suoi sogni e non sulle sue paure. Dovrebbe vivere la vita e non la morte. La morte della giovinezza, della storia, che si ferma tra le sue mani, legate ai cancelli della spersonalizzazione. Si tratta di questo, di privare una donna della sua essenza, riducendola ad un contenitore, pensiero legittimato da alcune filosofie antiche. Un contenitore che ha l’onore di accompagnare una vita, ma verso una luce già spenta. Vorrebbe accenderla di nuovo, se solo potesse. Ma non esiste fiamma che tenga. E poi vorrebbe lavorare, ma è afgana, non può. Che ingenua. Vorrebbe studiare, ma una donna istruita fa paura. Potrebbe persino dimostrarsi sveglia e intelligente. Ma è afgana, non può. Povera illusa. E quindi cosa può? Chi può? Io, noi. E perché non lei? Perché non loro? Graffiate dalla quotidianità, percosse dalla povertà d’animo, dal cuore della società, dagli occhi degli uomini. Un bambino educato al dolore di una donna, diventerà un uomo responsabile del dolore di una donna. E lui non vorrebbe questo, lui vorrebbe rispetto, che l’infanzia conosce meglio dell’età adulta. Ma senza rendersene conto, verrà trasformato in ciò che non voleva essere. E così neanche lui può scegliere. Può solo subire le scelte di altri, come sua madre. E allora l’uomo è forse libero? In Afganistan e nei Paesi più grigi dell’umanità, un uomo  che schiavizza una donna non è forse schiavo di se stesso? Un giorno morirà, senza aver conosciuto la libertà, proprio come la donna che diceva di amare mentre amava solo se stesso.

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