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Il 14 luglio si venera San Camillo de Lellis

Mercenario abruzzese che si convertì davanti alla sofferenza dei malati

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Camillo de Lellis nacque da una famiglia aristocratica a Bucchianico, in provincia di Chieti. Già la sua nascita fu straordinaria: nacque il 25 Maggio del 1550 da una donna quasi sessantenne. Si racconta che la sua gestazione fu predetta da un sogno.

Secondogenito fortemente voluto, venne chiamato Camillo in onore della madre, Camilla Campellio. Il padre era invece era Giovanni de Lellis, un ufficiale al servizio dell'esercito spagnolo. 

Come tutti i signorotti dell'epoca, fu educato all'uso delle armi e all'arte della guerra. Gli furono insegnati i precetti cristiani ma, complice anche la perdita della madre a 13 anni, il giovane Camillo non ne fu per niente influenzato. Fu un giovane irrequieto, viziato e rissoso, per niente incline allo studio o al ragionamento.

Seguendo l'esempio paterno, iniziò a frequentare l'ambiente militare e soprattutto i soldati, da cui apprese i piaceri di una vita dissoluta. Stava per arruolarsi con il padre in una compagnia mercenaria quando questi morì, e a Camillo comparve un'ulcera purulenta alla caviglia destra. Dovette quindi rinunciare al nuovo lavoro e recarsi a Roma, all'Ospedale San Giacomo degli Incurabili

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Le cure dei medici dell'Ospedale lo risanarono, e lui decise di rimanere a lavorare per qualche tempo come inserviente. Il giovane Camillo infatti vedeva pian piano le sue ricchezze diminuire a causa delle scommesse e del gioco, ed era preoccupato di rimanere senza niente. Purtroppo l'esperienza come inserviente fu breve: dopo 131 giorni passati tra degenza e lavoro, venne allontanato dall'Ospedale per la sua indole rozza e la sua incompetenza.

Tornò dunque a arruolarsi nelle compagnie mercenarie. Si mise al soldo prima di Venezia e dopo della Spagna come il padre; partecipò alle campagne militari della Dalmazia e di Tunisi. Putroppo ciò che temeva si avverò: perse tutti i suoi averi al gioco. Congedato nel 1574, povero e solo, iniziò a elemosinare per l'Italia. 

Gli anni da vagabondo di Camillo cambiarono completamente il suo modo di vedere la vita. Se prima era un signorotto pigro e viziato, senza pazienza per il lavoro e solo dedito al servizio al Sè, durante il vagabondaggio divenne umile e avvilito, paziente e di buona indole.  Giunse fino in Puglia, a Manfredonia, dove venne notato da alcuni frati Cappuccini che gli affidarono una commissione da svolgere al Convento di San Giovanni Rotondo. Era la prima volta che a Camillo veniva data una fiducia che non pensava di meritare, e si apprestò al Convento senza esitazioni.

Una volta arrivato, il suo palese tormento mosse a compassione un frate guardiano, che gli rivolse delle parole paterne, che probabilmente il venticinquenne Camillo non aveva mai ricevuto dal suo vero genitore. Tanta fu la commozione, dice la leggenda, che si buttò ai piedi del frate, chiese perdono e promise di riparare al male provocato.

Il 2 Febbraio del 1575, sulla strada di ritorno per Manfredonia, avvenne la conversione. Decise di farsi frate Cappuccino e fu mandato al convento di Trivento, in Molise.

Durante il suo periodo da vagabondo, però, Camillo aveva trascurato la vecchia ferita alla caviglia, che tornò a infettarsi. Dovette abbandonare il monastero e spogliarsi degli abiti di frate, per essere ammesso di nuovo all'Ospedale San Giacomo degli Incurabili, ma questa volta era un uomo nuovo. Guardò l'ospedale con occhi diversi, e si rese conto dello stato di abbandono e miseria in cui riversavano i malati, soprattutto quelli che non avevano la possibilità di pagare. Iniziò di nuovo a trascurarsi, quindi, ma stavolta per aiutare gli altri. 

Curava i malati con tale compassione e delicatezza che fu nominato capo del personale e dei servizi dell'ospedale. Rimase lì per 4 anni, dal 1575 al 1579, ma purtroppo per ogni infermo di cui alleviava  le sofferenze, altri dieci necessitavano del suo intervento.

Ciò gli fece venire l'ispirazione, insieme a cinque suoi amici che, come lui, si erano convertiti,   di dare vita nell'Agosto del 1582 alla "Compagnia dei Ministri degli Infermi", una congregazione di religiosi votati solo alla cura dei malati. Papa Sisto V, il 18 marzo 1586, dette il permesso agli iscritti laici della Compagnia di vestire l'abito dei chierici, ma con il privilegio di una croce di panno rosso sul petto, come simbolo di sacrificio e di servizio.

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Nonostante l'età avanzata, Camillo si dedicò anche allo studio per diventare prete. Venne ordinato sacerdote nel 1584.

San Camillo ebbe anche un'istintiva propensione alla cura: introdusse concetti come la pulizia e l'arieggiatura negli ospedali, i pasti salutari per i malati e la quarantena per chi presentava sintomi di malattie contagiose. Questi concetti, che al tempo d'oggi sembrano scontati, erano rivoluzionari per l'epoca, e i loro benefici miracolosi. Il Santo visse per 28 anni all'ospedale del Santo Spirito a Roma, e nel 1591 Papa Gregorio XIV elevò la compagnia a Ordine Religioso. Lo statuto della Compagnia dei Ministri prevedeva un precetto in più a quelli di "povertà, castità e obbedienza" rispettati degli altri ordini clericali, ovvero "perpetua assistenza corporale e spirituale ai malati, ancorché appestati”. Il paradigma dei Camillani era "il corpo prima dell’anima, il corpo per l’anima, l’uno e l’altra per Iddio".

 San Filippo Neri, contemporaneo di San Camillo, ha visto nascere la Compagnia e definiva i suoi membri  "non uomini, ma angeli in carne" tant'era la loro delicatezza e premura verso gli infermi.

San Camillo diresse la Compagnia fino al 1507, quando si ritirò per dedicarsi solo alla cura degli infermi. 

Era gravemente malato a sua volta; il dolore alla caviglia non lo lasciò mai e, a causa di una patologia renale, morì il 14 Luglio 1614. Il suo corpo riposa nella chiesetta di Santa Maria Maddalena a Roma, che all'epoca era sede della Compagnia.

E' il patrono dei malati e delle professionisti sanitari, oltre ad essere Santo protettore d'Abruzzo insieme a San Gabriele dell'Addolorata.

PREGHIERA. O Dio, che decorasti S. Camillo della prerogativa di una singolare carità, a favore delle anime sofferenti, infondici per suoi meriti lo spirito del tuo amore, affinchè nell'ora della nostra morte meritiamo di vincere il nemico e di giungere alla corona celeste.

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