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LETTERA APERTA A CARLO CARDARELLA

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LETTERA APERTA A CARLO CARDARELLA, PRESIDENTE DELLA SEZIONE SOCIALISTA DI SAN SALVO Carissimo Carlo, ho letto con attenzione la lettera con la quale ti sei dimesso da Presidente della sezione socialista di San Salvo. Molte tue argomentazioni le condivido e per ciò stesso rispetto la tua scelta. Con queste poche righe però vorrei comunque suggerirti di rimeditare la tua decisione e richiamare la tua attenzione su una circostanza che tutti noi socialisti da anni aspettavamo; mi riferisco al fatto che oggi ci troviamo alla vigilia di una battaglia elettorale che, si vinca o si perda, comunque per la prima volta dopo tanti anni la faremo con la nostra identità, la nostra bandiera e le nostre idee, senza dover chiedere ospitalità a nessuno. La faremo con la coscienza di appartenere ad una storia, ad una tradizione e ad una cultura che è stata grande e nobile e potrebbe tornare ad esserla se ognuno di noi farà, nelle prossime settimane, quello che avremmo voluto fare anche in tutti questi anni, durante i quali forse ci è mancata la forza che, come ben sai anche tu, solo il senso della propria identità politica e della propria appartenenza possono dare. E tuttavia questo ''sentire politico'' non è mai morto in questi anni anche se molti di noi per testimoniarlo e farlo sopravvivere si è trovato a volte nella necessità di vestire panni non propri, ma non ha mai rinunciato ad essere quello che è sempre stato: cioè socialista e riformista. Oggi ci ritroviamo ad iniziare una ''lunga traversata nel deserto''. Deserto non solo inteso come metafora biblica, ma come constatazione di una politica che non è mai stata così degenerata come oggi; che non è mai stata così lontana dalle aspettative e dalle speranze di quel popolo che pretende di rappresentare. Una politica che da anni si guarda l'ombelico e pensa solo a se stessa e ai propri privilegi di casta, mentre tutto il Paese si impoverisce e scivola sempre più verso un declino che sembra irreversibile. In questo deserto noi socialisti avremmo ancora da dire alcune cose e da proporre al Paese qualche soluzione per i tanti problemi che rischiano di farlo regredire. Noi possiamo e dobbiamo dimostrare al Paese che i riformisti (e noi lo siamo sempre stati) fanno le riforme che servono all'Italia, anche quelle impopolari (ricordi la vicenda della scala mobile e le grandi riforme del primo autentico centro sinistra?). I riformisti non si limitano a proclamare banalità e retorica solo per carpire il voto dei cittadini, ma accettano di correre anche i rischi connessi alle scelte che bisogna fare quando le cose non vanno bene. Quando manca il coraggio di correre questi rischi non si è riformisti, ma imbonitori. Tu sai, come lo so io e milioni di altri cittadini, che i socialisti quando hanno avuto responsabilità di Governo hanno prodotto e realizzato riforme che sono state decisive (ancora oggi lo sono) per migliorare la vita di milioni di cittadini e lavoratori. Negli anni '60 se i diritti costituzionali dei cittadini sono entrati nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro, lo si deve solo alle riforme promosse dai socialisti (legge 606 sulla disciplina dei licenziamenti; Statuto dei lavoratori; ecc.). Questo spirito riformatore non possiamo farlo morire. Esso deve continuare ad essere utile al Paese e a tutti i lavoratori. Deve continuare a produrre soprattutto conquiste di civiltà e di modernizzazione. Ma per farlo bisogna esserci, quindi ancora una volta: ''...primum vivere...''. Adesso occorre riannodare quel filo rosso spezzato dall'insensatezza della deriva giustizialista di quindici anni fa. Rimettersi in sintonia con quella parte d'Italia che Gaetano Salvemini definiva migliore della propria classe politica, che si è sempre riconosciuta nella tradizione socialista e riformista, ma che da oltre quindici anni non ha più rappresentanza politica né voce nelle Istituzioni del Paese. Questa Italia oggi, se lo vorrà e se noi sapremo essere convincenti, ha un posto dove tornare: il PARTITO SOCIALISTA, il Partito che fu di Turati e Nenni; di Salvemini e Lombardi; di Pertini e Craxi. La storia e la cultura di questa comunità politica alla quale sentiamo di appartenere, abbiamo il dovere di farla vivere ancora, non solo per trasmetterla alla futura classe dirigente, che oggi ha venti o trent'anni, ma anche per dare un senso ai tanti anni della nostra vita che abbiamo dedicato alla lotta politica e speso per queste idee. Non solo per questa ragione, ma fosse anche solo per questa, vale ancora la pena esserci !! Poi «...accada quello che deve accadere ». Con affetto Angelo Di Pierro 28 febbraio 2008
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