Oggi Evaristo Cilli, classe 1935, compie 83 anni. Da tutti è conosciuto a San Salvo per la sua attività di produzione di pasta fresca.
La sua è stata il primo laboratorio di pasta fresca qui a San Salvo?
Una volta tutti impastavano la pasta in casa. Era un saper fare che si trasmetteva di madre in figlia. La mia non è stata prima attività di pasta fresca. Il primo è stato Nicola Artese che aveva vissuto una vita da fornaio. A un certo punto si era stancato di fare il pane e, siccome gli mancavano alcuni anni di contributi per avere la pensione, a metà anni ‘60 aveva aperto questo laboratorio di pasta fresca. Dopo qualche anno è venuto a mancare a seguito di un banale incidente di caccia.
Quando e come e perché ha intrapreso questa attività?
Nel 1964 mi trovavo a Milano per lavoro e nel mio girovagare in città partecipai ad una fiera in cui vidi le macchine di lavorazione della pasta fresca. Ne restai letteralmente conquistato. Io ero più semplicemente abituato a vedere mia mamma fare la pasta in casa solo a mano. E così cominciò a balenarmi in testa l’idea di un negozio nel mio paese che all’epoca contava sui 3-4 mila abitanti. Ma fu un pensiero del momento che restò tale. Nel frattempo tornai a San Salvo entrai a lavorare prima alla Siv e poi alle Ferrovie. Nel frattempo ho conosciuto colei che è diventata mia moglie, Margherita. Siccome avevo più tempo libero perché ero stato trasferito alla stazione di San Salvo, nel 1978 di comune accordo abbiamo pensato di aprire questa attività.
Mi racconta un po’ della fase di avvio e di vita del laboratorio?
È stato bellissimo! Un signore di Vasto è venuto due giorni per insegnarci l’arte del pastificio. Comprammo delle macchine usate e un amico che si intendeva di falegnameria ci era venuto a sistemare gli arredi del locale. La prima pubblicità già si faceva da sola perché la gente passava e chiedeva “che state facendo? Cosa dovete aprire?”. Abbiamo aperto la domenica mattina del 2 luglio del 1978: c’è stato subito il pienone. Io e mia moglie ci tenevamo a fare bella figura. Ci siamo alzati la mattina prestissimo: alle 4.30 eravamo già in laboratorio per preparare la pasta. Siamo tornati un attimo a casa per cambiarci e vestirci quasi come per una festa, io con la cravatta. Alle 8.30 abbiamo aperto al pubblico, durante la giornata c’è stato un viavai continuo. Buona parte della gente che andava a messa poi veniva da noi. Come del resto accade tutt’ora! Vedevo brillare gli occhi dei bambini che entravano e vedevano i tortellini. Per loro era una novità! E come si sa la pubblicità è l’anima del commercio e così dopo qualche giorno dall' apertura abbiamo fatto stampare dei volantini A5 in bianco e nero e, come si usava allora, una macchina andava in giro e li lanciava e spargeva per strada. Abbiamo sempre lavorato insieme e di comune accordo io e mia moglie. In un certo senso io ero il braccio e lei la mente. Dentro il laboratorio sono cresciuti anche i nostri figli. La domenica mattina mia figlia era l’addetta allo stacco dei ravioli. Tra gli anni ’80 e i 90’ abbiamo avuto il nostro boom: lavoravamo un sacco per i ristoranti della zona e ogni tanto veniva uno dei fratelli Argirò che ci diceva che doveva portare la nostra pasta a uno della famiglia Agnelli. Nel 2002 siamo andati in pensione e l’attività continua oggi grazie a mio figlio e mia nuora.
Col senno di poi riavverresti questa attività?
Sì rifarei tutto soprattutto perché vivevo il contatto con il pubblico come una festa.