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Appuntamento con lo sport: l’ASD Shotokan San Salvo

Per la puntata di questa settimana dalla strada torniamo in palestra con il Karate

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Ci affacciamo nuovamente alle arti marziali dopo aver abbandonato il tatami per un breve periodo, andando alla scoperta di uno dei più antichi stili di combattimento: il Karate. Chiaramente per scoprire le peculiarità di quest’arte non siamo dovuti andare sino a Okinawa ma ci è bastato raggiungere la scuola di karate di San Salvo per parlare con il maestro Nicola Di Niro e con l’ufficiale di gara Luciano Torricella.

L’intervista

Per conoscere meglio l’ASD Shotokan vorrei chiederti, per prima cosa, come e quando nasce questa realtà.
Dunque, la scuola è qui a San Salvo da circa tredici anni, quindi dal 2001, tuttavia la società sportiva è nata solo tre anni fa. Nel corso di questo periodo sono stati tantissimi i ragazzi che si sono formati da noi, spinti soprattutto dalla loro passione e dalla dedizione con la quale i genitori li hanno costantemente accompagnati agli allenamenti. Come dicevo solo da pochi anni a questa parte abbiamo costituito la società sportiva vera e propria che ha già ottenuto risultati davvero soddisfacenti. Al contrario, per quel che riguarda la mia personale esperienza, ti posso dire che pratico questa disciplina da venticinque anni e quando ho cominciato ero costretto a spostarmi tra Vasto e Termoli per seguire il mio maestro. Poi crescendo ho cominciato a pensare di ottenere le varie abilitazioni all’insegnamento riconosciute dalla Csen (Centro Sportivo Educativo Nazionale). Dopo di me hanno preso l’abilitazione ad allenatori sia mio figlio che altri ragazzi che lavorano qui con me.

Guardandomi intorno ho notato numerose targhe e cornici, tu stesso hai parlato di parecchie soddisfazioni. Quali sono stati i risultati più importanti che avete ottenuto?
Quelli che vedi incorniciati sono anche gli attestati che confermano la nostra preparazione con il patrocinio della Csen di cui parlavo prima. Per quel che riguarda invece i risultati ottenuti dai nostri ragazzi posso dirti con piacere che da due anni partecipiamo ai campionati regionali, inoltre proprio negli ultimi disputati siamo riusciti a ottenere ben cinque titoli abruzzesi in diverse categorie. Oltre a queste soddisfazioni abbiamo anche ottenuto un secondo ed un terzo posto ai campionati italiani di Foligno nella categoria tra i 12 e i 13 anni. Sempre in quell’occasione siamo riusciti anche a classificarci cinquanttottesimi su noventasette. Per questo spero che potremo continuare a prender parte alle competizioni anche con i più piccoli per far comprendere a tutti l’importanza e la bellezza di quest’arte marziale.

Poco fa hai accennato ad una categoria in base all’età ma le cinture che indicano il grado di preparazione, vengono assegnate in base all’età oppure in relazione alle abilità acquisite?
Esatto, le cinture indicano le abilità del praticante. Si parte dalla cintura bianca e, attraverso un percorso ben specifico, si arriva a quella nera. In genere l’età non è un fattore determinante per l’acquisizione di queste cinture bensì lo è il livello di conoscenza e di esecuzione del movimento a cui si è arrivati nel corso degli allenamenti. Per farti un esempio qui ho bambini di sette anni che sono già avanti con le cinture rispetto ad altri più grandi. Io stesso tendo ad organizzare la preparazione come se fosse un anno scolastico per arrivare a consegnare, a fine anno appunto, la cintura di livello superiore. Non è detto però che l’esecuzione di questi movimenti sia perfetta e permetta il balzo diretto ad un diverso colore, ecco perché esistono anche le mezze cinture. L’unica limitazione a livello di età la si incontra nel momento in cui si vuole ottenere la cintura nera che può essere conseguita solo a partire dal quattordicesimo anno di età. Io qui posso consegnare sino alla cintura marrone, mentre per la nera è necessario andare a Manopello per sostenere sia esami pratici che teorici. Parlo di esami perché la stessa cintura nera non è esattamente un punto di arrivo ma è composta da altri “sottolivelli” chiamati dan. Questi ultimi sono dieci e possono conseguirsi a intervalli di tempo prestabiliti e diversi per ogni livello.

Durante gli allenamenti e le gare vengono usate delle protezioni particolari?
Sì, sono previste delle protezioni soprattutto per le categorie minori. Per l’esattezza sino agli esordienti A gli atleti devono indossare protezioni su mani e piedi insieme ad un corpetto, al paradenti e al caschetto. Solo nel corso della pratica e in base allo stile che si porta avanti le varie protezioni cominciano a essere tolte. Anche se ci sono tutte queste precauzioni, il combattimento degli Esordienti non è un vero e proprio contatto ma solo una serie di figure da eseguire e l’ufficiale di gara valuta, in base a diversi parametri, i movimenti eseguiti. Si passa poi allo Skin Touch sino alla categoria Senior, in cui i contatti sono limitati e leggeri. Quello che realmente si porta avanti in questo senso è lo stile detto Jiyu Kumite in cui il punteggio viene sempre assegnato in base alla correttezza del colpo sferrato che non deve però recare danno all’avversario.

Quindi se tutto è votato a non apportare un danno, il karate non è poi una disciplina così violenta?
Questo è esattamente il punto dove volevo arrivare. Ci tengo infatti a precisare che il karate è un’autodisciplina che si propone di regolare e gestire il comportamento di una persona attraverso un percorso formativo anche sotto il profilo emotivo. Non a caso si parla di arte marziale situazionale che spinge il praticante ad osservare quello che accade per poterlo gestire attraverso il proprio controllo emotivo. Per questo stesso motivo aiuta anche con la gestione di quella che ormai è una piaga che colpisce i nostri adolescenti: il bullismo. Se si crea una situazione del genere è perché esiste una scarsa stima di se stessi e per questo si pensa di dover dimostrare qualcosa agli altri. Se invece, attraverso questo percorso formativo, si giunge ad una consapevolezza di sé elevata non ci sarà nessun bisogno di creare situazioni scomode. Nel caso in cui invece l’atleta si trovasse in una circostanza del genere è in grado di tergiversare per non cercare di placare gli animi.

Capisco. Ma ai bambini come riesci a insegnare queste cose che sembrano così complesse?
In quel caso la situazione è ben diversa giacché si parte sempre da una situazione di gioco-sport. Il bambino non è esasperato nella ricerca di risultati, al contrario prende tutto come un divertimento e senza accorgersene acquisisce tutte le capacità di cui ti ho parlato prima. Inoltre le stesse grida (Kiai) che senti durante l’esecuzione di un esercizio non fanno che aumentare la capacità di incanalare la carica che è generata dal movimento stesso.

La psicologia è quindi fondamentale?
Esatto. Non a caso, durante la pratica o la gara, si porta avanti un atteggiamento ben preciso che deve infondere sicurezza anche ai giudici che stanno valutando l’esercizio. Inoltre è importante rimanere nel campo di gara. Mi spiego meglio, ogni tipo di competizione si svolge sul tatami che è di due colori diversi: blu al centro e rosso lungo il perimetro. Nell’area centrale avviene l’esercizio vero e proprio mentre la zona esterna viene denominata zona di sicurezza, ovviamente se si esce fuori si incorre in una penalità. Inoltre queste penalità vengono inflitte anche se l’atleta (come ci ha spiegato l’ufficiale di gara Luciano Torricella) perde l’equilibrio, si sbilancia o non trasmette ai giudici un atteggiamento sicuro, insieme a numerosi altri parametri.

Se invece qualcuno volesse avvicinarsi a questa pratica come può fare?
Semplicissimo, basta passare qui o contattarci telefonicamente per cominciare a visitare la palestra e capire quello che facciamo. Non a caso abbiamo volantini e biglietti da visita che spesso distribuiamo e chiunque può cominciare in qualsiasi periodo dell’anno. Ovviamente, come ho già detto, non bisogna fermarsi all’apparenza e credere che sia uno sport violento e che punta solo al combattimento visto che, soprattutto i bambini, cominciano ad imparare quelle che chiamiamo figure.

Pochi giorni fa l’Italia ha ottenuto una medaglia d’oro nei mondiali femminili; qualche tempo prima anche una ragazza sansalvese ha ottenuto importanti risultati. Ma questo è uno sport maggiormente maschile o femminile? Poi perché se ne parla solo in casi 'eccezionali' secondo te?
Vero, ci sono stati questi risultati femminili, ma il karate è una disciplina aperta a tutti senza distinzioni di sesso. Secondo me se ne parla poco perché non è ancora una disciplina riconosciuta come uno sport vero e proprio, al contrario è ancora un arte marziale. Magari se nei prossimi anni questa disciplina otterrà il riconoscimento dal CONI si comincerà a parlarne più spesso. Per il momento, purtroppo, più conosci più sei in grado di farti conoscere al di fuori dell’ambiente.

FOTO DI EMANUELE PERRINA MUX

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