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Italia, sessant’anni dietro ai fornelli e cinquanta con il suo Giuseppe

Storie di vita

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Italia Di Santo è cresciuta in una famiglia numerosa, dove i compiti del menage domestico erano suddivisi tra i suoi componenti. L’ultima di sei figli che portava il nome della nazione appena uscita dalla seconda guerra mondiale (quasi a inneggiare la vittoria della vita sulla morte), Italia era l’addetta alla cucina sin da piccolissima.

Nel gennaio del 1965, all’età di diciassette anni, accompagnando una delle sorelle ad un battesimo a Lanciano è successo qualcosa di imprevedibile: durante i festeggiamenti, infatti Italia, ha conosciuto un amico dei genitori della festeggiata, Giuseppe Angelucci un giovane ventiquattrenne di Torricella Peligna. Il ragazzo, migrato in Germania per lavoro, era tornato solo per l’occasione.

Dopo quell’incontro Italia e Giuseppe hanno avuto altre occasioni per incontrarsi, innamorarsi e decidere di sposarsi.

Il 9 gennaio del 1966, in una fredda giornata d’inverno caratterizzata da mucchietti di neve sparsi per le strade di San Salvo, Giuseppe vestito da sposo, si è recato a casa dell’amata Italia in via Trignina. Partiva il corteo nuziale così composto, la sposa sottobraccio all’unico fratello maschio, lo sposo sottobraccio alla moglie del cognato e a seguire tutti gli altri parenti.

I cortei nuziali erano delle vere e proprie feste soprattutto per i bambini che raccoglievano i confetti e i soldi lanciati agli sposi, dai vicini di casa e dagli amici durante il tragitto.

Quel giorno c’era anche un‘altra coppia che si sposava in contemporanea con Giuseppe e Italia. Era un uso abbastanza comune che un sacerdote celebrasse, con lo stesso rito nuziale, il matrimonio di due coppie. In questi casi veniva celebrato innanzitutto il rito della coppia che arrivava per prima.   

Il sacerdote deputato a celebrare quel fatidico sì, è stato don Cirillo Piovesan. I garofani addobbavano la chiesa e il ristorante. Dopo il rito religioso, il corteo nuziale, guidato questa volta dagli sposi, uno sotto il braccio dell’altro, sempre a piedi, raggiungeva il ristorante/pensione di zia Adele (la mamma di Osvaldo Menna) in via Mirandola. La mamma di Italia e zia Adele avevano preparato per un centinaio di commensali, brodo, lasagne, polli al forno, insalata e torta. E poi c’erano le “pizzelle al ferro”, i “celli ripieni” e i biscotti a “esse”.

Dopo una settimana vissuta a Torricella Peligna, i novelli sposi si sono trasferiti in Germania, dove Giuseppe lavorava già da diverso tempo. Dopo un anno e mezzo, la coppia e il loro primogenito Angelo ritornano a San Salvo per sempre.

Nel 1970 Italia cominciava a lavorare al ristorante/pensione di zia Adele e nel 1972 lo rilevava e lo trasferiva prima  in un locale in via Trignina preso in affitto e poi, nel 1987 in via Caravaggio in una nuova struttura di proprietà. Nel ristorante si ricrea l’ambiente familiare della famiglia di origine di Italia: ognuno (marito, figli, genero, nuora e nipoti) ha il suo compito e Italia è sempre “l’addetta alla cucina”.

Se passa un emigrato che vende calze per sopravvivere, Italia preferisce sfamarlo immediatamente con un piatto di pasta o un panino mentre Giuseppe preferisce comprargli delle calze.

“L’amore non è bello se non è litigarello” è un po’ il motto della coppia: spesso litigano anche per futili motivi dicendosi sempre tutto in faccia senza nessuno scrupolo. Giuseppe e Italia hanno temperamenti diversi, ma la sera non vanno mai a dormire senza essersi augurati la buonanotte.

Nel matrimonio Italia e Giuseppe hanno portato in dono semplicemente loro stessi e nel tempo tutto ciò che hanno costruito è stato il frutto di questa profonda comunione.

 

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