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Chi sa che cos’era “la frasch”?

La storia di San Salvo raccontata da Ennio Di Pierro

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A San Salvo uno dei primi luoghi di aggregazione in cui si poteva gustare il vino era “la frasch.

I contadini che producevano un quantitativo di vino superiore al loro fabbisogno familiare, ponevano sopra la porta di un locale che avevano a disposizione, un grosso ramo (la frasch) di ulivo o di quercia, per dire che in quella casa si poteva bere del vino. Quando il grosso ramo si seccava veniva sostituito con uno fresco. Una di queste case era di fronte al palazzo di Artese. 

L’arredo era minimalista, solo qualche tavolino e si poteva solo bere del buon vino. Si poteva comprare un litro, un mezzo litro e un quartino. Ci si andava da soli o in compagnia con le tasche piene di lupine o ceci abbrustoliti.

Dopo un po’ sono nate le cantine dove era possibile anche sedersi e giocare a carte e alcuni facevano anche da mangiare. Ma i bevitori preferivano "la frasch" perchè il vino era più genuino e non era annacquato. Man mano che si sono sviluppate le cantine, "le frasch" sono scomparse. 

Negli anni ’50 sono arrivati i bar. A San Salvo tra i vari bar che sono sorti in quel periodo spiccava il locale di Leone Balduzzi che era considerato il bar più chic molto frequentato dagli “universitari” del paese (tra cui Ialacci Giovanni, Pasqualino Di Iorio, Erpinio Labrozzi, i fratelli Sparvieri, Labrozzi Vitale, Cirese Renato). Si contraddistingueva per tre fattori. Era il più fornito a livello di liquori ed è stato uno dei primi a produrre il gelato. All’inizio era l’unico che aveva il biliardo, una grossissima novità per i sansalvesi.

Ma la principale attrattiva di quel bar era proprio la persona di Leone che tra l’altro aveva la capacità di intrattenere i suoi clienti anche con le melodie del violino, uno strumento musicale completamente innovativo rispetto alla conosciutissima fisarmonica. Spesso l’accompagnava anche un altro suonatore Antonino Sparvieri (il fratello di Evaristo Sparvieri).

 

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