Oggi, 25 aprile, continua ad essere il suo “compleanno”, perchè lui continua a vivere con tutti i suoi paesani e coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, apprezzarlo e sentire vivamente il suo indimenticabile ed affettuoso rispetto.
La bontà e la fede sarebbero i primi termini di un campo semantico che gli appartiene e che comprende tutti i vocaboli che tracciano il suo percorso esistenziale, segnato da tappe vincenti in ogni campo dove ha seminato il bene, il lavoro, l’arte, la cordialità, l’avanguardismo commerciale, la nobiltà d’animo, l’amore coniugale, l’affetto paterno, la gioia di vivere ed i momenti di armonia capace di schiarire anche gli attimi di tristezza e di bisogno.
Autodidatta, fenomenale, riusciva a scrivere poesie strutturate con difficili combinazioni ritmiche ed incredibili e toccanti emozioni, pure e semplici come il suo cuore.
Il balcone è stato il podio dei suoi ultimi anni, da cui salutava e trasmetteva messaggi di serenità e di gioviale esistenza, timbrata da quella oraziana tranquillità d’animo, benedetta dai suoi Santi protettori e da quella “santissima trinità” ritratta su un antico quadretto incorniciato dal suo papà Angelo, ed appesa sul comodino da quando lui era rimasto orfano, a soli sei anni.
Da allora, prima di addormentarsi, la sua mamma Vitalina glielo faceva baciare dopo aver recitato quella preghiera che, spesso, mi viene in mente con la convinzione che la vera ricchezza lasciata in eredità, come un tesoro senza prezzo, possano essere anche queste poche parole, che trascrivo in un dialetto impreciso:
“me cauleche a stu lette, tre angele m’aspette: Gesùcreste me è padre, la Madonne me è madre, Sant Giuseppe m’è parende puzze durmè securamente” (mi corico in questo letto, tre angeli mi aspettano: Gesù mi è padre, la Madonna mi è madre, San Giuseppe mi è parente posso dormire sicuramente).
Mia nonna Vitalina a me a mio fratellino Ivo, ce la faceva ripetere prima di addormentarci quando, in tre, dormivamo in quel grande letto col materasso riempito di lana di pecora.