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Quanta meraviglia e storia nella raccolta delle olive!

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Si può infatti imparare ad apprezzare l’ulivo a livello materiale, lavorativo e tradizionale non trascurando quello immaginario che trascina grandi e piccini, amanti e ignoranti del sapere, in meandri fantastici, mitologici, storici e folklorici svariatamente divertenti col profumo che intensamente si sente quando si entra in un frantoio, dove mucchi di olive prima o dopo la spremitura, sprigionano una “goduria” olfattiva che tocca tutti i sensi.

Mentre si immagina una fetta di pane “unto” del nostro olio cremoso e verde, di oli extravergini, resi superiori da effetti mediatici illusori e spesso poco veritieri, allarghiamo l’orizzonte spaziale e temporale di questo frutto prezioso e sacro come prezioso e sacro è il suo repertorio letterario di tutti i tempi e di tutti i generi. Mi piace ricordare, quando osservo un grosso albero di olivo, “l’Odissea” che a scuola ho studiato integralmente, perché ai miei tempi limitarsi a riassumere pochi canti, come avviene nelle scuole di oggi, rappresentava “un sogno che era follia sperare”.

Ricordo ancora l’attenzione ma nello stesso tempo la meraviglia durante la lezione, in cui la professoressa di Italiano, dolce e severa come la sua Sicilia nativa, dalla imponente cattedra di legno della scuola media “Cesare De Lellis” di Chieti, ci spiegava di Ulisse che, in segreto, aveva costruito il talamo sulle radici di un albero di ulivo, utilizzando il tronco e la corona per il suo letto e le pareti della stanza.

La scelta non era casuale perché l’ulivo era sacro alla dea Minerva che, in tal modo, avrebbe protetto maggiormente gli sposi. Tale curiosità, che tanto mi sbalordì, rimase impressa nella mente senza scomparire mai più e diventare una piacevole associazione di idea con l’ulivo come giustificato simbolo di pace e di amore.

Una volta la domenica delle palme rappresentava un momento quasi più solenne della Pasqua, soprattutto grazie a quei rametti di ulivo che Don Cirillo benediceva e noi portavamo, come baluardi, in mano, a casa per posizionarlo a capo del letto come mezzo salvifico per qualsiasi negativa evenienza.  Gli studi etnografici del folklore d’Abruzzo a cui tanto m’appassiono mi hanno dato conferma della sacralità dell’ulivo e dell’olio nelle tradizioni folkloriche, nei miti, nelle leggende di tutti i tempi.

In Abruzzo l’olio e l’ulivo avevano una funzione di notevole importanza.  La presenza dell’olio, in molte pratiche magiche e religiose, è documentata per tanti rimedi in cui si fa riferimento alla “magara” che si serve di “olio verde d’oliva”, a volte preso da una lucerna che arde davanti all’immagine del santo protettore del male da guarire, con cui viene praticata la strofinazione rituale sulla parte malata, recitando preghiere e scongiuri: per la tonsillite, le lussazioni curate con il massaggio dell’olio caldo mescolato al bianco dell’uovo. 

Le foglie d’ulivo venivano usate per la composizione del più famoso sacchettino apotropaico, composto dalle operatrici magiche a scopo preventivo dagli influssi malefici con chicchi di sale ed altri ingredienti segreti. Era credenza che le foglie d’olivo, bruciate, tenessero lontano il malocchio in coerenza con le antiche concezioni magiche egiziane e la filosofia rinascimentale secondo cui il fumo di erbe ha scopo purificatorio.

Come dimenticare il malocchio che mia nonna Vitalina, come tutte le nostre nonne, mi toglieva utilizzando l’olio che versava nel piatto dove era stata messa l’acqua , con forbici o coltelli. Se le tre gocce d’olio si spandevano voleva dire che il male era provocato dal malocchio, perché l’occhio che si allarga è segno di invidia. Il numero delle gocce corrispondeva a quello delle persone invidiose.  Rovesciare l’olio a terra era segno di grave futura disgrazia e per scongiurare il male si gettava per tre volte il sale dietro le spalle. 

Nella medicina popolare l’olio eliminava ogni male.  Molte piante medicinali sminuzzate venivano messe in un tegame di coccio con olio d’oliva freddo, si facevano friggere e dopo averle fatto raffreddare, si filtrava per ricavare l’olio terapeutico.  Questa procedura si usava con la camomilla per medicare ferite purulente.  Rosmarino, cera vergine e olio venivano bolliti fino a ricavare un unguento da spalmare sul cuoio capelluto per guarire la Tigna.  Foglie di ruta e rametti di rosmarino venivano soffritti nell’olio fino a ricavarne una poltiglia che, spremuta, produceva un olio usato per massaggi analgesici, antireumatici, riattivazione della circolazione sottocutanea.  prima dell’avvento degli antibiotici, il ricorso all’olio nella cura e nel lenimento del dolore, delle vie respiratorie era comune. 

Non basterebbe un quaderno intero per ultimare l’argomento che spazia in usanze, proverbi e quant’altro.  Tutto quello che scrivo non me lo sono inventato, ma è la risultanza di studi vari ed approfonditi di testi ed autori, che purtroppo, sono meno famosi di personaggi televisivi, ma sicuramente più degni di rispetto, perchè hanno salvaguardato e trasmesso la preziosa cultura dei nostri antenati.

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