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"Ci vuole la fortuna anche ad essere santi"

Domani la Fiera di San Rocco una delle ultime tradizioni sopravvissute delle celebrazioni di un santo che in passato è stato molto amato dai sansalvesi

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Domani a San Salvo si terrà la Fiera di San Rocco, uno degli ultimi appuntamenti sopravvissuti delle celebrazioni di un santo che in passato è stato molto amato dai sansalvesi. Di seguito un racconto di Fernando Sparvieri, custode delle tradizioni sansalvesi che nel suo sito sansalvoantica, raccoglie testimonianze orali, scritte, video e fotografiche delle tradizioni della nostra città e dei suoi personaggi.

“Povere  Sandrocche!  Che britte sarte si viute! " (trad. Povero San  Rocco! Che brutta sorte hai avuto! ).

Eppure San Rocco un tempo  era il  vice San Vitale. Dopo il Santo patrono, nell’ordine gerarchico ecclesiale sansalvese era Lui l’altro santo  più “famoso” di San Salvo. Lo si  festeggiava il 17 e 18 Settembre (qualche volta anche il 16 quando le annate erano state buone) e veniva  sempre la banda a sottolinearne l’importanza. La festa di San Rocco non aveva nulla da invidiare a quella di San Vitale (certamente non c’erano le some, i taralli),  ma la gente lo festeggiava con la stessa devozione. La sua processione era imponente.  Era l’ultima festa dell’anno ed aveva un  duplice significato: quello di ringraziare il cielo per l’anno bucolico che si stava concludendo con l’imminente vendemmia e raccolta delle olive, e sopratutto per invocare la protezione del santo per un nuovo anno denso di prosperità. Erano talmente affezionati i sansalvesi a San Rocco che ne avevano edificata anche la Chiesetta, quella ancora  esistente e purtroppo oggi cadente (vicino la rotonda tra Via Madonna delle Grazie e Via San Rocco), ove “viveva” e vive tutt’ora (prigioniero) Sante Rucchiccie, piccola statua  di San Rocco, che ogni anno, una settimana prima delle celebrazioni del San Rocco maggiore, veniva portata in processione alla Chiesa madre di San Giuseppe, percorrendo l’attuale strada Fontana Nuova, quella dove oggi abitano gli zingari, che sino agli anni 60 era una piccola via brecciata di campagna.
E’ dagli inizi degli anni 80 che San Rocco non si festeggia più ed è un vero peccato. Gli unici indizi che ci riconducono a Lui ed al suo glorioso passato sono solo talune “affermazioni” sul suo conto, che sono resistite ai tempi: “Uè Sandrò!”,  esclamazione di stupore ed a volte di imprecazione, dipende dal tono della voce con la quale la si dice, oppure “Core de Sandrocche!” , in questo caso“prehate e no’ ‘rneate”, cioè pregato e non bestemmiato. Per il resto ci siamo dimenticati totalmente di Lui.  Gli abbiamo fatto davvero la festa. Eppure San Rocco, non era un santo fesso. Un miracolo certo vi era  stato.   
Erano gli anni 50. Alla quindicenne Maria, figlia di Camillo Iacobon e Anna De Nicolis, sorella di Angelo De Nicolis (Angiluccio), coppia emigrata negli Stati Uniti molti anni prima, le avevano  diagnosticato un male incurabile ad un  braccio che le doveva essere amputato. Maria, la notte prima dell’intervento ebbe una visione: un omino con un cane. Questo omino  le disse  di  stare tranquilla, che l’avrebbe aiutata lui. Il giorno seguente Maria  entrò in sala operatoria e dopo un po’ ne riuscì senza aver subito alcun intervento: il male era sparito tra lo stupore dei medici. Maria raccontò a sua madre di quella visione. La mamma le mostrò le figurelle di tutti i santi del nostro paese.  Alla vista della figurella  di Sante Rucchiccie, Maria indicò,  senza ombra di dubbio,  l’omino della visione.  I genitori per ringraziamento promisero di portare come segno di devozione, al  loro primo  rientro in Italia, un braccio d’oro a  Sante Rucchiccie (“Lu vraccie d’ore”), dono che negli anni successivi  veniva portato in processione il giorno della festa di San Rocco   e .. haimè...  svanito nel nulla insieme alla festa.* 

Povero Sante Rucchiccie, che jella! Non solo “tagliato” dal suo popolo, ma egli stesso amputato del suo braccio d’oro, simbolo del suo miracolo a San Salvo. Poverino! Già  se l’era vista nera, durante la guerra, quando la Sua Chiesetta uscì miracolosamente illesa dai bombordamenti alleati (vedere altra foto a fondo pagina). Poi la fece franca quando negli anni 70 l’Amministrazione Comunale si era messo in mente di buttare a terra la Sua chiesetta per realizzare Via  Cesare Battisti.   Venne salvata da  una persona a me molto cara che  si oppose al progetto (fateci caso quando ci passate: percorrendo  Via  Battisti, quando si scende da dietro alla villa e si arriva  in prossimità della chiesetta, la strada  devia a sinistra andando a confluire nella rotonda).

Che strana la storia di San Rocco a San Salvo.  Ha resistito alla ferocia della guerra e  alle demolizioni  in nome del progresso, ma è rimasto vittima dei tempi che mutano. Il tempo muta ogni cosa, anche le feste e le tradizioni di un popolo. Ci vuole la fortuna anche ad essere santi.
Con la crescita demografica e la susseguente espansione immobiliare del paese, le feste religiose si sono spostate dalla piazza principale ai  quartieri periferici. Volendo adoperare un modo di dire: c’è chi ne ha guadagnato e chi ne ha perso. San Nicola, ad esempio, che negli anni 60 si festeggiava in piazza San Vitale, ne ha guadagnato con la chiesa nuova e anche con nuove tradizioni (da qualche decennio arriva addirittura dal mare); anche la Madonna delle Grazie, che prima si portava solo in processione dalla sua chiesetta omonima a quella di San Giuseppe, ne ha guagagnato in quanto da un trentennio si festeggia l’ultima domenica di maggio "a la Madonne" (a fianco alla sua chiesa)  con tanto di orchestra e fuochi artificiali, anche se per ascoltare la musica bisogna fare la discesa ”de la fante” ed al ritorno viene il fiatone.  A farne le spese invece, nel senso che sono feste ormai dimenticate, sono stati San Vito e Sant’Antonio, che si festeggiavano  in piazza il 16 e 17 giugno, e naturalmente il nostro amato San Rocco ed il Sacro Cuore di Gesù, suo accompagnatore ufficiale nelle processioni, le cui ultime feste, da quel che mi ricordo, si svolsero in Piazza Aldo Moro agli inizi degli anni 80.

Vi sono poi feste che vengono, come quella di Padre Pio ed altre che vanno (indietro) ad esempio quella della Madonna di Fatima” a San Salvo Marina, festa inversamente proporziale alla grandezza della chiesa e degli abitanti: quando si festeggiava negli anni 60 alla chiesetta vicino al passaggio a livello, con quattro gatti di fedeli della Stazione, era una festona, oggi invece con la chiesa grande in Via Magellano ed una marea di case per il mare, è una festicciola. 

Vi sono, inoltre, feste rionali inventate da qualche anno di sana pianta, come la festa de “Lu Cuaviute de la Rane”, contrada sansalvese che prima era aperta campagna (ci stavano solo le masserie di Antonio Artese, il padre del prof.  Ennio, e di Zi' Pasquale Giagnacule) o la festa di"Via dello Stadio", organizzata dal dinamico Cesario Raspa, codiuvato dai suoi insepabaili “Amici della tradizione”, e feste inventate di "santa pianta", come quella di San Marco nella vicinissima Contrada Piane di Marco di Vasto (pi la ve de le Pilercie), la cui santità nella zona era totalmente sconosciuta nei secoli passati. 

Con il disamore per la politica, sopratutto da parte della stragrande maggioranza dei giovani, sono  sparite le feste  rosse e bianche (le feste dell'Unità e dell'Amicizia), tanto di moda durante la 1^ Repubblica, una specie di manifestazioni “fast food” che somigliavano al detto “passata la festa gabbato il santo”, che hanno lasciato il posto a  notti apolitiche ed apocalittiche colorate di bianco, rosa e del colore della birra. Sono mutate anche talune tradizioni. 

Con l'avvento negli anni 60 dei veglioni di fine anno ed i cenoni, non si canta più da anni “Il capodanno”, mentre si è riscoperto da circa dieci anni il Canto della Passione, che si canta per le vie del paese generalmente il mercoledì della settimana santa, tradizione un tempo molto sentita dalla comunità casalona sansalvese che cantava in una strofa: "I due redentori andava vestito da natorà” (che mio padre sosteneva volesse intendere: Il Cristo Redentore andava vestito al naturale, cioè nudo).

Altre tradizioni, invece, nel corso degli anni, si sono evolute in sagre, come “Le sagne”, che non si mangiano più al mulino, ma nelle piazze, e stessa "evoluzione" ha subito il tradizionale “Fuoco di San Tommaso”, il grande falò che dal 1745 si accende la sera del 20 Dicembre, per ricordare quando i sansalvesi, in attesa delle reliquie di San Vitale, portarono ognuno da casa in piazza un pezzo di legna per riscaldarsi nella fredda nottata dell’attesa, in cui da molti anni non si scippa più il cappello in testa a qualche malcapitato per buttarlo nel fuoco o non si fa più a "gera cappelle", ma si mangiano le salsiccie.  Addirittura  anni  addietro vi  fu anche la rievocazione storica dell’arrivo dell’ urna, simile  a quella che  da qualche decennio  va di moda in molti paesi abruzzesi, in cui i figuranti  sansalvesi indossarono abiti nobiliari invece delle pezze al “culo” come i loro antenati, sopratutto durante gli anni 50-60.

Insomma le feste e le tradizioni cambiano, così come cambiano i contesti sociali e culturali della gente. Come si diceva un tempo, pure le feste sono diventate "a libertà sandrocche", modo di dire che ognuno è libero di fare come gli pare e piace. Ognuno è figlio del suo tempo e bisogna adeguarsi ai tempi che mutano.  Mi dispiace solo un po’ per San Rocco, ferito, che è rimasto, come San Vito, solo con il suo cane.

Meno male che sono esistiti ed esistono i cani. Gli  animali sono i veri amici dell’uomo e da quel che pare anche dei santi.

 

                                                                                             

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