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Pasqua, un 'incontro' che cambia la vita

Accadde a San Salvo in via Platone

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Una mia zia si chiamava Pasqua e fu per tanto tempo l’unica pasqua di mia conoscenza. Poi, pensai fosse la pupa e il cavallo di pasta frolla con l’uovo sulla pancia che aspettavamo tanto in un giorno di festa di primavera. Ma Pasqua non erano i dolci, lo diceva la suora e anche la maestra nelle poesie che faceva imparare a memoria: «... Dietro il muro dell’orto/Cristo è risorto/oggi è festa di pace/d’amore e di perdono/mamma voglio essere buona! ...”.

A quindici anni capii... era ora ormai! Pasqua non poteva che essere la fragranza preziosa delle violette che cercavo tra i rovi dei fossati o il melocotogno dalla chioma in fiore che dalla mia aia sorrideva gratis a tutti i poveri passanti, cosa c’era di più bello per un giorno di festa?

Forse la messa in latino, ma chi ci capiva? L’agnello con l’alloro invece era buono... sapeva di... “pasqua” e sulla mensa dei poveri era la festa del palato che una tantum riceveva un buon boccone. Che gioia ragazzi! Mangiare bene per una volta... ci si sentiva come... ”una pasqua”.

A diciotto anni, con la Pasqua arrivò un grande uovo di cioccolata e fu un'emozione... “pasquale” mai conosciuta prima. Ma era la vera Pasqua? Cominciai a nutrire qualche dubbio. Poi venne quella dei “due giorni di vacanza” segnati rossi sul calendario: Il week end... parola e moda dal sapore di melassa, e tanti anni freddi, lunghi e bui. La luce e i fiori erano scomparsi, insieme a zia Pasqua, le viole, le gemme e i... sogni.

Gli anni, si sa, passano in fretta, ed ebbi a ridere delle vecchie “pasque”, quando lessi il Vangelo e cominciai a frequentare persone colte e scoprii la Pasqua, di certi preti: «Il mistero infinito... il "Cristo trionfante”... fu la Pasqua del mio intelletto che riempì di saggezza i miei pensieri e il mio parlare. Ma, Dio, mi aspettava un giorno in una stanza, dove un uomo di sessant’anni giaceva senza vita. Piangevano i familiari seduti su vecchie poltrone lungo le pareti. La mamma era la più vicina. senza più lacrime, circondava la bara con entrambe le braccia dolcemente come una culla. Solo il suo dolore, conficcato come una lama, brillava nel profondo del suo sguardo bruno. “Condoglianze... condoglianze” ripetevano alla povera moglie, ai figli affranti. E nessuno osava parlare a quella anziana mamma aggrappata ai bordi del feretro, si udiva forte - nel rispettoso silenzio - il suo respiro affannato, che a brevi intervalli sollevava e abbassava il funebre velo. E invocava: “Gesù..Gesù!”. E con quel respiro - moribondo anch’esso - cercava disperatamente di ridare la vita al figlio suo. Era il suo dolore immagine “dell’altro”, della Madre e del Crocifisso, paradigma di ogni umano soffrire... allora, ho sentito un brivido e poi bruciare nel mio cuore le divine parole: «Donna perché piangi?» (Gv 20,13). «Oh dolce mamma! Perché non ti ho preso per mano e non ti ho detto: “Vieni! Indossa il tuo vestito più bello, mettiamo un garofano rosso sul balcone, e andiamo insieme come giullari a danzare la nostra gioia sulle strade, nei prati, tra gli alberi in fiore, sui colli, tra le onde, perché tuo figlio è vivo! Lo stesso amore che ti faceva invocare Gesù lo risusciterà e a tutti ridarà la vita, se nella Sua promessa avremo creduto».

Non ho trovato l’ardire, ne le parole, ma finalmente ho trovato “la Pasqua” quella vera, era nel mio cuore da tanto e, finalmente, ci siamo incontrate.

FOTO: Ines Montanaro

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