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Dio non chiude i conti, li riapre di continuo

Commento al vangelo

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L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco nel mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco : il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava” (Es 3,2)

Ciò che accade a Mosè somiglia tanto alla parabola discendente che segna la vita di tanti.

Un proverbio la sintetizza: si nasce incendiari e si finisce pompieri.

Troviamo infatti il nostro protagonista alcuni anni dopo la fuga dall’Egitto, dovuta all’indignazione natagli dentro nel constatare l’oppressione del suo popolo, ma pare proprio che la fiamma del rivoluzionario gli sia spenta dentro.

Per fortuna il vero protagonista della storia non è lui – e nemmeno il faraone di turno – ma Dio.

Sull’Oreb mette in scena   quello che a Mosè da principio appare un grande spettacolo, un roveto che arde e non si consuma,mentre poi si accorge che ad essere rappresentata è la sua vita.

La scena infatti gli fa da specchio, ma al contrario, il roveto arde e non si consuma, la sua esistenza si consuma senza ardere. Sprecare la vita, senza infiammarsi per qualcosa che valga , è il rischio di molti in questo nostro tempo, che sembra aver sostituito alle ideologie la calma piatta di una rassegnata indifferenza.

Ma se Mosè può starsene tranquillo, non così Dio, che vede la situazione in cui versa il popolo e ne ode il grido (non l’invocazione o la preghiera, perché c’è poco da essere devoti in situazioni drammatiche). “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido” (Es 3,7).

Salta fuori Mosè e lo coinvolge nell’impresa di liberare la sua gente.

In questa chiamata rivela anche il suo nome, che non è peraltro una definizione di chi sia Dio, quanto piuttosto,l’indicazione di dove trovarlo:“Io sono, mi ha mandato a voi (Es 3,14).

Assumendo la missione verso il popolo, Mosè conosceva il Signore e potrà tornare al monte di Dio per stipulare un patto di libertà. Attraverso la fiamma del roveto, la passione gli si è accesa dentro e non si spegnerà più.

Gesù di Nazareth è il Mosè nuovo e definitivo, che  non ha certo bisogno di spinte per farsi bruciare dall’avventura spirituale, che lo vede annunciatore del Regno, terra promessa di libertà per ciascuno e per tutti.

Quello che l’uno prefigura, l’altro realizza; al punto da poter scorgere tracce di Vangelo nello stesso cammino che il popolo fa nel deserto:“Bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo” (1Cor 14,4). La passione che bruciava dentro Gesù lo fa anche indignare per la passività e la rassegnazione di chi non si lascia scuotere dal Vangelo.

Invitato ad esprimersi sui fatti del giorno, non ne fa un commento moralistico, di giudizio sulle colpe altrui; interroga piuttosto la responsabilità personale e collettiva. “Credete che quei Galilei fossero più peccatori  di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?” (Lc 13,2).

La lettura di fede, dovuta al fuoco evangelico dal quale ci lasciamo incendiare, non ci permette di chiamarci fuori da nessun avvenimento; in esso risuona l’appello al cambiamento di vita.

La crisi finanziaria, non potrebbe chiamarci a conversione per non perire tutti entro la logica del mercato?

Alcuni anni fa i vescovi italiani invitarono a “ripartire dagli ultimi”, per ritrovare un “genere diverso di vita”.

E’ necessario, pertanto, che abbiamo in una mano la Bibbia e nell’altra il giornale, così la parola di Dio illumina la storia e la storia  fa risuonare in modo sempre nuovo la Parola.

Attivando questa circolarità, l’evangelista torna ad essere esigente nella sua radicalità e insieme accogliente per la misericordia che annuncia:Lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterò frutto per l’avvenire” (Lc 13,8-9).

L’avvocato presso il padrone è il Cristo stesso, vignaiolo che si fa vite affinché portiamo ancora frutto.

Allora c’è speranza anche per il fico sterile e per la sterilità che ciascuno scopre in sé. Dio, infatti, non chiude i conti, li riapre di continuo.

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