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"Uno dei discepoli, quello che Gesù amava, riconobbe la voce"

Commento al vangelo

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Il mistero della Resurrezione si scontra con l'impazienza degli uomini. Sono passati già tre giorni, dicono i due di Emmaus, e non abbiamo ancora visto niente; sono passati 2016 anni e a che cosa è servito questo cristianesimo? Che cosa ha fatto per la società? Sono passati dieci anni, venti anni, diciamo noi, da quando abbiamo aderito in modo consapevole e libero a Cristo, e non vediamo ancora la conversione che credevamo. L'incredulità si esprime sempre come impazienza, come giudizio sul tempo e sulle scadenze. E notiamo per quanto questa impazienza agisca sui nostri rapporti che dovrebbero essere di carità, cioè di continua speranza che il mio prossimo si converta, e di continuo aiuto perché cambi vita; mentre invece giudichiamo e critichiamo, come se fossimo noi a sapere e stabilire i tempi della fede e del cambiamento del cuore.

"In quella notte non presero nulla", scrive l'evangelista Giovanni. É l'amara esperienza di Pietro, Tommaso, Natanaele, i figli di Zebedeo e altri due discepoli, dopo una faticosa notte di pesca. Un'esperienza non diversa da quella accaduta anche a tanti di noi, di tanti giorni e di tante notti che non producono nulla. La "notte" non è solo una notazione temporale…è segno della mancanza del Signore e dello smarrimento. All'alba un Uomo (il Signore) si fece accanto alla stanchezza degli Apostoli e incontrò la loro fatica e la loro delusione; la Sua vicinanza, non importa se lo avevano riconosciuto, comportò la fine della notte e, quel che conta ancora di più, l'inizio di un nuovo giorno, di una nuova vita.

Egli chiese se avevano del pesce da mangiare; ma quei sette discepoli furono costretti a confessare tutta la loro povertà e impotenza.

Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». Quei sette discepoli accolsero l'invito e obbedirono: la pesca fu grande, miracolosa, oltre ogni misura. Di fronte a questa esperienza di fecondità e di gioia, “uno dei discepoli, quello che Gesù amava, riconobbe la voce e disse a Pietro: "È il Signore!" Ancora una volta, per bocca del discepolo, risuonava agli apostoli l'annuncio della Pasqua, la vittoria del Signore sulla morte. Simon Pietro, nel sentire la vicinanza del Signore, comprese tutta la sua indegnità; si cinse subito i fianchi con una veste, era infatti nudo, si gettò nel lago e corse a nuoto verso Gesù. Gli altri, invece, vennero dietro con la barca trascinando la rete piena di pesci. A questo punto il Vangelo presenta una scena conviviale, piena di tenerezza: tutti erano insieme attorno ad un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane, preparato da Gesù. Nessuno osava domandargli nulla; rimasero senza parole, come quando veniamo superati dall'amore e dalla tenerezza. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai suoi discepoli. Per noi è la Terza Domenica che ci ritroviamo nella liturgia domenicale attorno all'invito che Gesù stesso ci rivolge, come fece allora ai suoi: "Venite a mangiare". Oggi, come allora, vediamo ripetersi la stessa scena e sentiamo le medesime parole di Gesù: "Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro". È una scena semplice, eppure colma di domande, soprattutto di una domanda: quella che Gesù, proprio all'alba del giorno, rivolse a Simon Pietro. Non era una domanda sul passato, o sulle delusioni; e neppure sulle non poche paure.

Gli chiese solamente: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?". Gesù interrogò Pietro sull'amore. Non gli ricordò il tradimento di qualche giorno prima; l'amore infatti copre ogni peccato. E Pietro prontamente rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Era una risposta più vera di quella che aveva dato quel giovedì sera al cenacolo quando disse a Gesù: "Per te sono disposto ad andare fino alla prigione e alla morte" (Lc 22,33). Ora, la risposta era più vera, più umana. E, a lui che non meritava nulla, Gesù disse: "Pasci i miei agnelli"; cioè sii responsabile degli uomini e delle donne che ti affido. Proprio Pietro che aveva mostrato di non essere in grado di restare fedele, doveva essere il responsabile? Proprio lui?

Si, perché ora Pietro accoglieva l'amore che Gesù stesso gli donava; e nell'amore si diviene capaci di parlare, di testimoniare, di prendersi cura degli altri, abbandonando ogni superiorità (diciamo noi: “io sono più bravo di te, so tutto io”), per vivere per gli altri. Dobbiamo avere almeno l'affetto, se l'amore è chiedere troppo; avere amicizia, se l'amore mette paura.

Ogni giorno ci viene chiesto se amiamo il Signore. Ogni giorno, dobbiamo prenderci cura degli altri. L'unica forza che ci permette di vivere è l'amore per il Signore. Gesù disse ancora a Pietro: "Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi". Pietro forse ricordò la sua giovinezza di pescatore a Cafarnao, quando si alzava presto per andare a pescare, forse anche le sue delusioni e magari anche il luogo dove incontrò per la prima volta Gesù. Mentre gli tornavano in mente questi ricordi, Gesù aggiunse: "Quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi". Pietro, come ognuno di noi, non sarà lasciato solo.

È lui, il Signore, che ci ha amati per primo, si prende cura di noi e non ci abbandonerà mai. Quel che conta è la fedeltà a quella scena sulla riva del lago, che ogni domenica si ripete per noi…per tutta la vita. Amen.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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