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Auguri Don Piero, sacerdote felice

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Ognuno di noi ha un personalissimo calendario con dei giorni cerchiati di rosso. A volte queste date si vorrebbero ricordare “nel silenzio esteriore e nel raccoglimento interiore, ma è la natura stessa del sacerdozio (…) ad imporci di lasciare che quanti hanno titolo per esigerne il magistero (…) avvertano questa ricorrenza e la ricordino con i segni della loro pietà e della loro bontà. E questo ci riempie di riconoscenza e di consolazione”. Con queste parole il Santo Padre Paolo VI apriva l'omelia del 17 maggio 1970, domenica di Pentecoste, nel mentre ricordava i suoi 50 anni di sacerdozio e al contempo si preparava ad amministrare il Sacro Crisma a 278 diaconi provenienti da ogni angolo del mondo. Tra questi giovani c'era anche Pietro Santoro, il “nostro” don Piero che proprio oggi cerchia di rosso il suo 50mo anniversario di sacerdozio, 50 anni di amore incondizionato a Cristo e alla Chiesa.  In certe occasioni non è nemmeno il dato numerico la cosa più importante, e certamente un cinquantesimo ha un peso specifico,  ciò che conta davvero è come ci si arriva, con che tipo di cuore. Per saperlo non si può far altro che tornare all'inizio di questi lunghissimi anni, che pure sono volati via come un battito di ciglia, e che davvero si prestano all'unica misurazione possibile che, alla lunga, rimane sempre quella del cuore.  San Paolo VI quella mattina insistette molto sul cuore: “Vieni, o Spirito Santo, e dà a questi ministri, dispensatori dei misteri di Dio, un cuore nuovo...sempre giovane e lieto! Un cuore puro che non conosca il male, come quello di un fanciullo capace di entusiasmarsi e trepidare! Un cuore grande e forte ad amare tutti, a tutti servire, per tutti soffrire...forte a sostenere ogni tentazione, ogni prova, ogni noia, ogni stanchezza, ogni delusione, ogni offesa, un cuore grande, forte e costante...solo beato di palpitare col cuore di Cristo”. Queste parole del Papa Santo sono talmente attuali e lungimiranti che per nulla stridono con la ricorrenza odierna, e in verità sono tutt'ora decisive per ogni sacerdote, di un giorno o di una vita. Non voglio scrutare oltremodo nell'animo di don Piero, che immagino grato e commosso, emozionato e pudico, ma di certo il suo sacerdozio ha fortissimi accenti di richiamo e di fedeltà alle parole del Papa: e infatti faccio gli auguri ad un prete felice di esserlo e di testimoniarlo, un  prete che non hai abdicato alla noia e alla stanchezza, il cui cuore, sempre giovane e lieto, non ha mai smesso di palpitare con il cuore di Cristo. E, aggiungo, con il Vangelo come bussola ripetendo spesso con don Primo Mazzolari che “col Vangelo in mano si sa dove si comincia e non si sa dove si finisce, il Vangelo è sempre novità e sorpresa”. Questo è l'insegnamento che don Piero ha lasciato a me, a tante generazioni prima e dopo di me che potranno declinarne ricordi, episodi, pezzi di vita. Perché se c'è un dato incontrovertibile in questi 50 anni è che don Piero non ha lasciato indifferente nessuno: non una persona, non una città, non una comunità, non una storia, non una scelta. Tutto in ragione di quella “Chiesa in uscita” che non sa che farsene di recinti autoreferenziali ma che ama la contaminazione nella storia e nella vita, nella società e nella politica, nella cultura e nel lavoro, in una logica di “incarnazione ed inculturazione” nient'affatto tiepide e accomodanti. E soprattutto un'incessante desiderio della Verità e la conseguente faticosa ricerca di Verità, con coscienza e responsabilità, al fine di non subire mai, e di mai imporre, surrogati di verità di corto respiro. Ecco, don Piero è stato perfino un precursore di stagioni nuove, ne ha dibattuto (e anche sofferto) senza sottrarsi e senza sminuire ruolo e vocazione, dentro la storia e mai alla finestra, don Piero non è mai stato tifoso della mediocrità e del qualunquismo, con i giovani soprattutto è stato tanto, tanto esigente, provocatorio e attento, seminatore di passioni, d'interessi e di benevole inquietudini, spirituale ma non spiritualista, profondo e mai banale, colto ma alla portata di tutti, tra la gente senza orpelli, tenace, ostinato e deciso come i veri “leader” e come tale capace di motivare e rispettare, ciascuno per la propria vocazione, tutte le biografie, di gioia e dolore, che spesso capitano nelle mani di un prete che a volte, come sintetizzava splendidamente David Maria Turoldo, “diventa un salvatore di ore perdute”. Ho conosciuto don Piero nel settembre 1978, ero un bambino di otto anni e sono entrato in parrocchia con i fondamentali religiosi di mamma e della nonna materna, ho giocato a lungo fino al giorno in cui, quasi adolescente, don Piero mi prese in disparte e senza troppi sconti mi disse che “in parrocchia e fuori c'è sempre da fare, che i talenti, pochi o tanti, si mettono a disposizione di tutti, a prescindere, altrimenti siamo spreconi di tempo e di doni”. Credo che la mia conversione definitiva, che ha reso la mia pallida fede più interessante ed inquieta, sia accaduta in quel momento, in quell'incontro. Ecco, io credo che tanti, tantissimi che stanno leggendo queste righe avranno ben in mente l'incontro con don Piero, sacerdote e Vescovo, qualsiasi esso sia stato e comunque esso sia avvenuto, e avranno contezza del rovescio della domanda: quante vite ha contribuito a cambiare don Piero, quanti interrogativi ha acceso nelle vicende di ognuno? Perché gli incontri, quelli veri, non lasciano mai il sapore dell'indolenza e dell'assenza ma restano anche quando la vita, per mille ragioni, e per la fantasia di Dio, ti porta altrove. E sono momenti che si accovacciano nel cuore e non si spostano più. E sono momenti che poi crescono e scavano dentro, che diventano giorni e anni, lacrime e sorrisi, affetti e condivisioni, discussioni e confronti, abbracci e compagnie, persino aneddoti e leggende, in una parola si avvalgono dell'Amore, e per chi crede del comandamento dell'Amore. Un ultimo frettoloso appunto sulla cronologia: ordinato nel 1970 e destinato “fidei donum” in Brasile, “richiamato” da Mons. Capovilla a San Salvo, collaboratore nella parrocchia di San Giuseppe, nel 1973 fondatore e primo parroco della parrocchia di San Nicola Vescovo, nel giugno 2007 eletto Vescovo di Avezzano, consacrato il 6 settembre, nella diocesi marsicana dal 15 settembre. Queste date potrebbero semplicemente essere circoscritte di rosso vantando di essere le più evidenti. In un certo senso è così, eppure nella “bella avventura” di un sacerdote ce ne sono altre che cedono al silenzio, che si esplicano solo nel silenzio, non è un eufemismo, fino al giorno in cui subiscono, anch'esse, il fascino della fuga, per essere tramandate in un racconto o in un'impressione, in un'idea, un ricordo, una vita. In un'altra occasione, insomma. Oggi don Piero celebra il suo 50 di sacerdozio ed io ho fatto una scelta, ho buttato giù queste righe tralasciando, spero non troppo colpevolmente, tante, tantissime cose: dai miei appunti personali, così numerosi da riempire ancora immensi scaffali di un'esistenza e poi non citando tutto quello che don Piero ha inventato, prodotto, diretto e donato sia nell'amatissima parrocchia di San Nicola, sia in Diocesi di Chieti-Vasto e in giro per il mondo, sia nell'Azione Cattolica e nella pastorale giovanile e sia, ovviamente, nell'amata “sposa”, la Diocesi dei Marsi così come nella Famiglia Spirituale di Padre Mauri. Ma questo è un augurio semplice, a mo' di spot affettivo, di gratitudine per un prete felice che segna una tappa importante ben sapendo che l'eternità è un'altra merce. Sì, magari confesserò prossimamente la profonda amicizia che mi lega a don Piero, l'arte del nostro confrontarci senza gabbie e sovrastrutture, l'importanza dello stare insieme, anche in familiare convivialità, la franchezza di ogni parola, la reciproca conoscenza, il suo essere stato paterno, fraterno, amico, maestro, semplicemente compagno di viaggio, sempre sacerdote. Ma una cosa non la voglio tacere e volutamente l'ho lasciata alla fine perché è (dovrebbe essere) un tratto peculiare dell'esercizio sacerdotale, certamente lo è di don Piero: la Carità, spesso nascosta, l'opzione per i poveri e i lontani, le sue “tasche bucate”, la quotidiana fila davanti alla parrocchia, e ad Avezzano mi risulta sia lo stesso. Voglio raccontare, allora, due episodi di cui sono stato diretto protagonista e che lascio alla declinazione di ciascuno. Il giorno che don Piero fu nominato Vescovo un giovane di San Salvo, con una biografia piena di scarabocchi ma perfettamente leggibile a chi punta gli occhi e non il dito, gli disse affranto: “adesso che te ne vai da San Salvo io resto solo, mi lasci in mezzo ad una strada”. Questa frase fa il paio con quello che mi ha raccontato un poliziotto di Avezzano qualche giorno fa quando, in piena quarantena per il virus, ha fermato un uomo senza fissa dimora e gli ha chiesto cosa facesse in giro. “Vado dal Vescovo che è mio amico ed è l'unico che mi pensa”. E ha aggiunto: “E poi ho trovato questo cagnolino e glielo porto a conoscere”. Il poliziotto, commosso, ha lasciato correre. E allora, con che cuore si arriva a celebrare 50 anni di sacerdozio? Forse con lo stesso cuore di questi due “lontani”, l'uno con la consapevolezza che nessuno sarà mai un orfano lasciato solo per la strada e l'altro che oltre al respiro di un cane sa che ci sono carezze che da sole valgono “una data cerchiata di rosso”.  Questi i miei auguri Eccellenza cara e carissimo don Piero, con la gratitudine e l'affetto di sempre. 

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