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'L’eleganza del riccio' di Muriel Barbery (2006)

a cura della redazione
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Penso da sempre che i libri si incontrino. Le mie letture più belle le ho incontrate girovagando tra gli scaffali delle librerie, luoghi non luoghi, dove a volte è utile perdersi, leggere i retro di copertina, aprire a caso una pagina, anche il semplice titolo del libro basta ad attrarmi.
L’eleganza del riccio invece non è stato un incontro, ma un suggerimento di un’amica, che ancora oggi ringrazio.
“Incontrare” un libro nel momento giusto della tua quotidianità, il libro perfetto che riesce a dare le risposte esatte alle tue domande è una rarità preziosa. L’eleganza del riccio per me lo è stata.
Un libro dal linguaggio semplice, letto in un pomeriggio d’estate, dove la noia regna padrona, in cui mi son ritrovata prima a ridere e poi a piangere, nel seguire le traversie dei protagonisti.
E’ una storia semplice, la descrizione della quotidianità di due donne, che si nascondono dietro maschere per quieto vivere, tramutandosi in ciò che gli altri si aspettano, non vivendo pienamente ciò che in realtà sono. Fino all’arrivo di un uomo che va oltre le loro maschere, e che attraverso dei dettagli scorge la loro vera essenza.
Il tutto si svolge tra le mura di un condominio signorile e la descrizione dell’umanità che Paloma,  una delle protagoniste, incontra, è di per sé un valido  motivo di lettura.
Paloma 12 anni, figlia di un politico che ha poco tempo da dedicarle, pensa al suicidio, stufa dell’incapacità degli altri di vedere la bellezza che si cela nelle cose semplici, delle loro maschere e dell’incapacità all’autenticità, “La gente crede di inseguire le stelle e finisce come un pesce rosso in una boccia”.
Poi c’è Renée, la portinaia. “Sono vedova, bassa, brutta, grassottella, ho i calli ai piedi e, se penso a certe mattine autolesioniste, l’alito di un mammut. Non ho studiato, sono sempre stata povera, discreta e insignificante… Di conseguenza, rappresento uno dei molteplici ingranaggi che permettono il funzionamento di quella grande illusione universale secondo cui la vita ha un senso facile da decifrare”. Un’illusione che assegna ruoli, maschere per il quieto vivere.
Renée, che all’interno della sua guardiola custodisce e nasconde una stanza con decine e decine di libri: di filosofia, arte, architettura, una donna colta, che si traveste quotidianamente, per rientrare nel ruolo assegnatole.
L’arrivo di monsieur Ozu, fa cadere le maschere, la gentilezza si impone e rimanda un’immagine di sé migliore, “ecco cosa volevo dire con la parola gentilezza, questo modo di fare che dà all’altro la sensazione di esserci”.
L’importanza e la bellezza dei piccoli gesti, in cui puoi trovare l’infinito, in cui i tempi si dilatano. La bellezza umana trafitta da una finzione scenica, che ci vuole asserviti a ruoli prestabiliti, rinchiusi in bocce come pesci rossi, è questo che descrive L’eleganza del riccio e molto altro ancora.

Antonia

 


Le protagoniste vivono la vita che gli altri hanno scelto per loro... un po' il contrario di

La proiezione che diamo di noi può essere difforme da ciò che pensiamo da ciò che siamo in realtà, o meglio da ciò che siamo "dentro", perchè la realtà non esiste. Ma esiste la percezione della realtà. E con quella facciamo i conti, ci ritagliamo uno spazio che può essere funzionale alla nostra interpretazione di ciò che ci circonda. La realtà è pura percezione.

Massimiliano

 

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